«Purtroppo sono fatto così, vedo sempre il bicchiere mezzo vuoto», «So che è sbagliato e che mi rovino la vita da sola, ma vedo sempre nero», «Vorrei essere come gli altri, pensare positivo, ma proprio non ci riesco!»: chi è pessimista di solito se ne lamenta, se ne dispiace, è consapevole che il proprio atteggiamento peggiora la qualità di vita, in una attesa continua di qualcosa di negativo. A volte se ne spaventa anche, come accade alle persone con cui lavoro prevalentemente, i malati oncologici: tutti, dai familiari, agli amici, agli stessi medici, gli dicono che con il loro pessimismo hanno meno chances di combattere la malattia, che dovrebbero pensare positivo per guarire più facilmente. Il risultato è che oltre ad essere atterriti dalla malattia, si sentono anche in colpa per questa loro caratteristica e temono di ostacolare con il loro stesso pensiero la ripresa o il fronteggiamento della malattia. I familiari premono con urgenza perché io intervenga, «Ci provi lei a fargli cambiare questo modo di pensare, altrimenti come fa a combattere il tumore?».
Anche al di fuori dell’ambito oncologico il pessimismo, definito come un atteggiamento sistematico di sfiducia verso la realtà e la vita, è comunque deprecato come una caratteristica svantaggiosa, pericolosa in quanto anticamera della depressione, dell’inattività, di un atteggiamento passivo e rinunciatario. All’opposto, l’ottimismo viene in genere apprezzato e incoraggiato per una serie infinita di vantaggi e si è assistito, negli ultimi tempi ad un’esaltazione e celebrazione del pensiero positivo come viatico per il raggiungimento dei propri obiettivi e persino come fattore prognostico positivo nelle malattie organiche.
In realtà, il pessimismo può invece comportare dei vantaggi, tanto quanto l’ottimismo. Certamente è importante distinguerlo dalla depressione, che invece è una patologia che necessita di cure. La depressione è una sindrome che comprende, tra i sintomi, anche il pessimismo, il non vedere una luce, la convinzione che non ci possa essere miglioramento o soluzione. D’altra parte, il pessimismo non si accompagna necessariamente alla depressione; anzi, essere pessimisti può tranquillamente convivere con l’essere felici. Sto parlando di un pessimismo che non invade totalmente al punto di bloccare nell’inattività, ma si mantiene a un livello moderato inducendo alla prudenza, alla valutazione dei rischi, al considerare anche gli esiti fallimentari preparando delle soluzioni. In questo senso, il pessimismo può diventare una dote utile. Come disse una mia paziente oncologica al nostro primo incontro: «Ah, dottoressa, io ho questo gran vantaggio di essere sempre pessimista: così, se va male io sono già preparata, se va bene, tanto meglio, doppia felicità!». Quando il pessimismo è tale da portare un malato a rifiutare le cure nella convinzione della loro inutilità, diventa un problema perché può privare la persona di risorse fondamentali. Ma vedo costantemente nel mio lavoro persone pessimiste che tuttavia nel frattempo agiscono, si sottopongono alle cure, si danno da fare perché «Temo che non funzionerà, però ci provo».
Il pessimismo può avere una funzione difensiva per contenere l’ansia legata ad eventi futuri: il pensare a tutto il peggio che potrebbe accadere e anche alle possibili eventuali soluzioni, piuttosto che negare o rimuovere il problema, è certamente spiacevole, però permette di sentire un controllo della situazione di fronte all’incertezza.
D’altro canto il pessimismo protegge anche dalla paura del fallimento o dal sentirsi completamente responsabili del raggiungimento di un obiettivo, in quanto vede una realtà difficile, piena di ostacoli, di cui non si ha il controllo. La persona pessimista avverte maggiormente i pericoli rispetto all’ottimista e ciò lo rende più prudente: non a caso, da uno studio risulta che gli anziani pessimisti vivono più a lungo degli anziani ottimisti, perché si controllano di più. E non è detto che vedere nero e avere poche aspettative di successo blocchi il raggiungimento degli obiettivi: da un’altra ricerca, è risultato che le donne a dieta pessimiste sul risultato che avrebbero ottenuto, dimagrivano di più rispetto a quelle ottimiste. Del resto, è noto che quando uno è troppo sicuro del proprio successo, si rilassa ed è proprio in quel momento che può invece fallire!
Il pessimismo può diventare quindi una dote quando si traduce in una maggiore consapevolezza degli ostacoli, dei propri limiti, in una maggiore lucidità nel vedere cosa non funziona e cosa va cambiato, rispetto all’ottimismo che potrebbe portare a una valutazione troppo positiva e perciò ad accontentarsi o a sottovalutare le difficoltà. Un sano pessimismo è necessario tanto quanto il sano ottimismo, permette di evitare eccessivi e facili entusiasmi così come una eccessiva cautela che bloccherebbe l’azione. Come recita questo bell’aforisma di G. Stern, “Sia ottimisti che pessimisti contribuiscono alla nostra società. L’ottimista inventa l’aereo e il pessimista il paracadute”.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950