Ricordo una mia vecchia zia, era convinta di essere vittima di feroci invidie. Mi sono sempre chiesta chi diavolo mai potesse invidiarla ma, tant’è, periodicamente andava a farsi “togliere il malocchio”. Una volta assistetti anche io al rituale e ricordo che, nei miei dieci anni, osservavo con una buona dose di perplessità la signora che trafficava con delle gocce d’olio in un piatto d’acqua. Qualche anno più tardi, un altro ricordo molto più angosciante: con la mia famiglia finimmo, quasi inconsapevolmente e malgrado il nostro storico scetticismo su certe pratiche, in casa di una specie di guaritore che sosteneva che la mia malattia agli occhi fosse procurata da qualcuno che “voleva male” a mio padre. Fortunatamente i miei lo ignorarono e continuarono a cercare un oculista competente, finchè trovammo quello che azzeccò il collirio giusto. La malattia guarì, ma io covo ancora propositi di vendetta verso quel tizio colpevole di dare una sofferenza a mio padre, insinuandogli paranoie e sensi di colpa.
Il malocchio è una credenza popolare tuttora molto diffusa, soprattutto in alcune regioni come le nostre Marche. Si basa sulla convinzione che alcune persone possano gettare energie negative su altre attraverso lo sguardo o altri mezzi, provocando malessere fisico o psicologico, mal di testa, mal di stomaco o sciagure di vario tipo.
Non esiste assolutamente nessuna prova scientifica che certi individui siano in grado di provocare un danno ad altri intenzionalmente o indirettamente portando “sfortuna”, eppure la credenza nel malocchio, al pari di altre superstizioni, continua a prosperare perché risponde al bisogno della mente umana di avere un controllo sulla realtà, di sfuggire al senso di impotenza di fronte al caso e alla precarietà dell’esistenza. Pensare che un evento negativo non sia casuale ma prodotto intenzionalmente e pertanto suscettibile di essere neutralizzato con una qualche pratica, fa recuperare un potere sulla realtà di fronte all’imprevedibilità della vita.
Il termine “malocchio” deriva dal fatto che gli occhi sarebbero il veicolo della iattura, come esito di un antico retaggio: i nostri progenitori che vivevano nei boschi erano spaventati dagli occhi luccicanti dei predatori nascosti nel buio; inoltre, era attraverso il fissarsi negli occhi che si stabilivano rapporti di dominanza e sottomissione. Ancora oggi, pensiamo che gli occhi siano il principale mezzo con cui esprimiamo emozioni.
Le persone più inclini a credere al malocchio sono tendenzialmente più insicure e fanno poco conto sulle proprie capacità di affrontare le difficoltà, attribuendo all’esterno la causa e la soluzione dei propri problemi. Specialmente in momenti di stress, sofferenza e paura, è più facile che si cada preda di credenze irrazionali che promettono di trovare facilmente una via d’uscita.
Il vero pericolo del malocchio è che effettivamente il fatto di crederci può portare a delle conseguenze negative, non per qualche misterioso effetto paranormale, ma per il noto fenomeno psicologico della “profezia che si autoavvera”. Chi crede di essere vittima di un maleficio, infatti, si autosuggestiona e comincia a prestare attenzione a piccoli e grandi eventi spiacevoli che altrimenti non avrebbe mai notato, fino a convincersi di essere davvero oggetto di un maleficio e a sviluppare ansia o depressione. L’attenzione seleziona tutti gli accadimenti avversi scartando quelli neutri o positivi e dando conferma ai propri timori.
L’altro pericolo riguarda il malcapitato iettatore. Alcune persone, in genere miti e schive, attirano su di sé la nomea di essere iettatrici e purtroppo i loro comportamenti alimentano ulteriormente la loro immeritata fama, in un circolo vizioso. Sentendosi additate, malviste ed evitate, in risposta diventano ancora più schive, chiuse, sospettose e preoccupate e il loro sguardo cupo viene interpretato come ulteriore conferma del loro essere menagrami. Il senso di isolamento e di ingiustizia che ne deriva può provocare un’intensa sofferenza, spingere alla depressione e a volte anche al suicidio.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
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