Gli screening oncologici sono esami gratuiti condotti a tappeto su fasce di popolazione per individuare in fase precoce malattie tumorali o addirittura prevenirle, rilevandone i precursori. La maggioranza dei tumori insorge infatti da lesioni precancerose che impiegano anni ad evolvere e che possono, in questo modo, essere intercettate ed eliminate. Se la malattia è rilevata in fase precoce, può essere curata in modo più efficace, riducendo in media del 40% la mortalità dei tumori interessati dagli screening (seno, colon-retto, cervice uterina).
In alcune regioni il programma prevede un richiamo attivo attraverso lettere di convocazione da parte dell’Asur, in altre i cittadini devono provvedere autonomamente. Tuttavia, anche laddove esista un’ottima organizzazione, i programmi di screening sono purtroppo sottoutilizzati. Sono infatti un’occasione preziosa di cui approfittare, ma hanno anche implicazioni psicologiche che occorre tener presente.
Chi si sottopone a un esame di screening è per definizione sano, non ha sintomi, sa di non essere malato ed effettua il controllo perché convocato dall’Asur o per sua abitudine, a scopo precauzionale. Un’eventuale diagnosi di malattia ha perciò un impatto particolarmente violento, precipitando all’improvviso la persona da uno stato di salute a uno di malattia. La reazione è spesso di intensa rabbia e di colpevolizzazione della procedura stessa di screening, come se essa fosse la causa della malattia («Ecco, lo sapevo che non dovevo venire!»; «Queste cose portano sfortuna, te la tiri addosso da solo!»), con una modalità di pensiero irrazionale e quasi magica. Lo stesso pensiero magico trattiene molti dall’aderire allo screening, credendo appunto che evitando tutto ciò che riconduce alla malattia, ci si possa preservare. Alcuni dicono «Finchè non faccio quell’esame, tutto può accadere, potrei pure essere sano; ma una volta fatto, non c’è più scampo», come se fosse l’esecuzione dell’esame a determinare la presenza o meno della malattia. Queste distorsioni cognitive sono tanto più frequenti, quanto più un contenuto mentale suscita angoscia.
La scelta di sottoporsi allo screening è particolarmente problematica per le persone che presentano un rischio maggiore di ammalarsi, a causa della familiarità della patologia. Alcuni rifuggono dagli esami minimizzando il rischio, altri vivono in uno stato di ansia costante. Gli studi rilevano che in queste persone, l’ansia prima di sottoporsi agli screening è elevata quanto l’ansia di chi ha già avuto una diagnosi di tumore.
Anche al di là di queste particolare tipologia di persone, si registra comunque una resistenza a sottoporsi agli screening oncologici nella popolazione generale. L’adesione maggiore si ha per lo screening per il tumore al seno, ma raggiunge comunque solo il 55%; minore l’adesione al pap-test, per la prevenzione del tumore della cervice uterina, e alla ricerca del sangue occulto nelle feci (ed eventualmente la colonscopia) per il tumore del colon retto (40%).
Quali sono i motivi che inducono molti italiani a rifiutare questo tipo di esami? Le risposte comprendono: il timore di scoprire di essere malati, la pigrizia, la mancanza di tempo, la dimenticanza, la convinzione di non essere a rischio, la vergogna di sottoporsi ad esami imbarazzanti. È probabile che “mancanza di tempo”, “pigrizia” e “dimenticanza” siano in realtà una razionalizzazione di ansie più profonde legate alla scoperta di un’eventuale malattia e alla relativa angoscia di morte. Influiscono variabili di personalità (alcuni sostengono ad esempio di non voler sapere di essere malati), livello socio-culturale ed economico, supporto e incoraggiamento da parte di familiari o amici. Quando l’esame di screening è consigliato dal medico curante, aumenta la probabilità che venga accettato. Lettere di convocazione che fissano già una data per l’esame, aumentano la probabilità di adesione rispetto a quando è il cittadino a dover chiamare per prendere appuntamento. Spettacoli televisivi o articoli di giornale che danno spazio a storie di persone guarite, aumentano l’adesione agli screening.
Lo screening per sua definizione è un esame che può cambiare il decorso della malattia; perciò è scorretto pensare «A che serve saperlo, se tanto la malattia c’è: ti angosci solamente!». Non è una sentenza ma è anzi il campanello di allarme che permette di intervenire.
Le ricerche rilevano che molti sottovalutano il rischio di ammalarsi di cancro; parimenti, sottovalutano la curabilità del cancro. Pensare che il cancro sia inevitabilmente mortale influenza il processo di informazione: si tende ad evitare di informarsi su ciò che spaventa, alimentando perciò un circolo vizioso che allontana ulteriormente dalla fruizione dello screening. Sapere che il cancro è più curabile di quanto si pensi, aiuta ad accostarsi allo screening con maggiore percezione di controllo e minore angoscia.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Tel. 339.5428950