Con “omofobia” si intende l’atteggiamento di ostilità che svilisce e aggredisce le identità e i comportamenti non eterosessuali e rifiuta tutti coloro che non si conformano al ruolo pre-assegnato dal loro sesso biologico. Comprende sentimenti di avversione e rifiuto, fino all’odio e a comportamenti discriminatori e violenti. La persona omofoba considera gay, lesbiche, bisessuali e transessuali come anomali, inferiori, “contro natura”, depravati e viziosi.
Se in passato l’omosessualità è stata oggetto di studio come fenomeno anormale, deviante o criminale e se ne ricercavano cause e possibili terapie, oggi è considerata una variante della sessualità legittima al pari delle altre, da trent’anni eliminata dall’elenco delle malattie mentali, e comportamento della sfera privata che non dovrebbe avere alcun peso nel definire i diritti dell’individuo. Piuttosto, ora l’attenzione si sposta, giustamente, su ciò che realmente dovrebbe preoccupare: l’ostilità e la discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, che provocano sofferenza psicologica, solitudine, depressione, suicidi. L’avversione per l’omosessualità continua infatti ad essere ampiamente diffusa, malgrado i progressi compiuti.
L’omofobia permea la cultura in modo diffuso, vi siamo immersi senza neanche esserne consapevoli, fin dall’infanzia la respiriamo: pensiamo solo alle numerose barzellette che ridicolizzano l’omosessualità, all’ampio uso dei termini “frocio”, “ricchione”, che in tante occasioni sociali, nella quotidianità di molte famiglie sono fenomeni abituali. Mentre i genitori si precipitano dallo psicologo se sospettano tendenze omosessuali in un figlio o una figlia, raramente si preoccupano o li redarguiscono se raccontano una barzelletta o se ridacchiano della “checca” del quartiere. L’uso di un linguaggio denigratorio è la forma più diffusa di omofobia: potrebbe sembrare poco grave, ma il linguaggio stesso contribuisce fortemente a stigmatizzare e ha un impatto psicologico pesante su chi ne è oggetto. Il fatto che l’omofobia sia onnipresente e venga assorbita fin dall’infanzia, rende anche tormentato il processo di riconoscimento di sé come omosessuale da parte dell’adolescente e complica enormemente l’accettazione di sé.
Mentre le altre forme di discriminazione, come il razzismo o la xenofobia, sono formalmente condannate dalla società, l’omosessualità è stata in passato osteggiata su tutti i fronti, dalla chiesa, dalla legge e dalla medicina, e ancora oggi non ha ottenuto sufficiente protezione dalle discriminazioni. Resiste così tenacemente perché non è un fenomeno individuale, una patologia di alcuni soggetti, ma è sostenuta da pregiudizi che sono incorporati nella nostra cultura.
La discriminazione degli omosessuali si basa sul considerare l’eterosessualità superiore, la norma, il modello di riferimento, in quanto “naturale”. La nostra società attribuisce all’eterosessualità la supremazia, il monopolio della normalità e disprezza chi non vi rientra. In particolare, non accetta che si possano avere qualità considerate proprie dell’altro genere, scagliandosi soprattutto contro il maschio omosessuale passivo e contro la lesbica con sembianze mascoline, perché mettono in discussione la rassicurante, netta distinzione tra maschio e femmina. La lesbica, in più, rifiutando di essere moglie e madre (nei modi “tradizionali”), sfida la norma per cui la donna sarebbe destinata per natura al matrimonio e alla maternità. Quindi l’omosessuale è percepito e ridotto solo alla sua dimensione sessuale, vista come perversa.
L’omofobia si basa su credenze, pregiudizi, fantasie nei confronti di soggetti che si pensa minaccino l’ordine morale della società e la stessa base strutturale su cui questa si fonda, ovvero la famiglia tradizionale. Nell’antichità, nel mondo greco, romano, nelle religioni pagane, l’omosessualità era ampiamente praticata, tollerata, o addirittura incoraggiata. La Genesi, in cui si racconta la distruzione di Sodoma, è il primo libro a condannare l’omosessualità e ha influenzato la religione ebraica, cristiana e poi islamica. È quindi con il diffondersi della civiltà giudaico-cristiana che si radicano anche i precursori dell’omofobia. Nel cristianesimo, l’eterosessualità è infatti l’unico comportamento considerato naturale e normale e il piacere sessuale è accettato solo se accompagna il fine principale della riproduzione. Inoltre, nella società patriarcale giudaico-cristiana c’è una netta divisione tra i generi con una sottomissione della donna che l’omosessualità mette in discussione.
Oggi sembra esserci una maggior accettazione dell’omosessualità, che tuttavia è solo apparente: per la maggior parte delle persone l’omosessualità non è una malattia e non è immorale, a patto però che resti invisibile e che si eviti il contatto con le persone omosessuali o gli ambienti da loro frequentati (“Certe cose non le facciano in pubblico ma a casa loro”, “Non c’è bisogno di sbandierarlo”, “Facciano ciò che vogliono, basta che non ci provano con me!”) e soprattutto a patto che non pretendano di avere figli. Gli stereotipi sugli omosessuali rappresentano infatti proprio l’antitesi delle qualità attribuite al buon genitore: nell’immaginario comune sono infedeli, promiscui, non propensi a relazioni stabili, pedofili, pregiudizi che non rispecchiano affatto la realtà.
I bambini non possono crescere bene senza un padre e una madre; i figli di omosessuali rischiano di sviluppare disturbi dell’identità sessuale; i figli di omosessuali soffrono per la discriminazione sociale. Queste sono le motivazioni per cui gli omosessuali non dovrebbero avere figli. In realtà, gli studi effettuati sull’argomento smentiscono questi timori. Per lo sviluppo del bambino è importante la compresenza della funzione della vicinanza e della funzione regolatrice, ma queste possono essere svolte sia dalla madre che dal padre, sia dal maschio che dalla femmina e non necessariamente sono connessi al sesso di appartenenza. L’efficacia genitoriale non risulta connessa all’orientamento sessuale. Inoltre, a ben vedere, ad oggi anche la genitorialità eterosessuale è multiforme, tra divorzi, famiglie monogenitoriali e famiglie ricostituite.
La visibilità dell’omosessualità, contrariamente all’opinione comune, dovrebbe essere incoraggiata, perché è dimostrato che una maggiore frequentazione, una maggiore conoscenza, un maggior contatto con le persone omossessuali è il mezzo più efficace per demolire i pregiudizi e la discriminazione nei loro confronti.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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