Benessere

«Voglio che tu sia felice»: quando la felicità dei figli diventa un obbligo invece che un diritto

Bisogni e aspettative dei genitori possono fare della felicità dei figli un obbligo, piuttosto che un diritto. Ecco perché

genitore, figlia
(Foto da Pixabay, di Mabel/Amber)

«Voglio che tu sia felice»: quale frase migliore di questa potrebbe essere rivolta da un genitore al proprio figlio? Tutti i genitori, o quasi tutti, desiderano sinceramente la felicità dei propri figli e fanno del proprio meglio perché i figli possano essere felici. Desiderare la felicità dei propri figli è  comunemente e giustamente considerata una manifestazione di una buona capacità di fare il genitore. Quale rischio potrebbe mai nascondersi dietro un desiderio così nobile? Eppure anche un buon proposito come questo può a volte avere degli aspetti poco sani, che si traducono in uno svantaggio per i figli, piuttosto che in un beneficio. Questo accade soprattutto quando la felicità del figlio diventa un dovere, un obbligo, piuttosto che un diritto o una  possibilità; quando rappresenta un bisogno del genitore, piuttosto che un meno vincolante desiderio; quando è confusa con altro.

Un genitore può confondere la felicità di un figlio con l’assenza di sofferenza e frustrazione. In questo caso ha difficoltà a stabilire le regole, perché in qualche misura esse comportano sempre un certo grado di frustrazione e di necessità di accettazione di un limite. Se il genitore interpreta questa normale e sana reazione ai limiti come infelicità, può sentirsi in colpa nel momento in cui pone limiti e regole e può rinunciare a svolgere questa fondamentale funzione genitoriale.

Un genitore può confondere la felicità del figlio con l’assenza di conflitto: se la propria idea di felicità consiste in una costante armonia nelle relazioni, diventa difficile confrontarsi con la normale aggressività che circola all’interno dei rapporti, accettare e comprendere le normali spinte aggressive dei figli, far emergere e affrontare gli inevitabili conflitti presenti in ogni famiglia, che verranno piuttosto insabbiati.

Il genitore può interpretare la felicità del figlio come metro di misura dell’approvazione del figlio e del suo affetto e come strumento per ottenerli: “Se mio figlio è felice, vorrà dire che sono un buon genitore”, “Se rendo mio figlio felice, avrò il suo amore”. In questo caso l’infelicità del figlio, o quello che il genitore interpreta come infelicità, può gettare il genitore nel terrore di perdere l’amore del figlio e indurlo ad abdicare a tutte quelle funzioni genitoriali (soprattutto quella normativa) che richiedono al figlio una dose di frustrazione.

Insistere sulla necessità di essere felici può segnalare una difficoltà ad accettare le emozioni negative e dolorose cha fanno inevitabilmente parte della vita. In questo caso, il figlio può sentire che è sbagliato provare ciò che prova, che non c’è spazio per esprimere ciò che prova, per condividerlo e per avere conforto e strumenti per gestirlo.

«Se tu sei felice, anche io sono felice»: quante volte i genitori rivolgono queste parole ai propri figli, pensando di dare la più grande dimostrazione di amore. Eppure i figli possono sentire in quel “se” un fardello schiacciante, la responsabilità di avere sulle proprie spalle la felicità dei genitori e, soprattutto, la responsabilità di rendere felice il genitore attraverso qualcosa di così poco oggettivo e anche poco controllabile come la felicità. Diventa inoltre necessario nascondere la sofferenza, il malessere e in generale tutte le emozioni negative, che farebbero preoccupare e soffrire il genitore, vissuto come non in grado di ricavare altrove e per conto proprio risorse per sentirsi bene e felice.

Può accadere che i genitori spingano continuamente i figli ad essere felici, senza però essere capaci di sintonizzarsi con i bisogni e i desideri dei figli e anzi, finendo per invalidare ciò che essi provano. Accade perciò che il genitore non riconosca la felicità del figlio, anche quando è chiaramente esplicitata, o che la metta in discussione, la sminuisca, la disapprovi. Il figlio dice «Mamma, papà, io sono felice così», e mamma e papà rispondono «No, non è vero / non può essere / dici così perché ti accontenti / se facessi questo e quest’altro allora sì che saresti felice / non puoi essere felice facendo questo e quest’altro», senza essere capaci di vedere il figlio, di mettersi nei suoi panni, di uscire dai propri punti di vista e valori per comprendere i suoi.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia prevalentemente online tramite videochiamata
Studi a Piane di Camerata Picena (AN) e
Montecosaro Scalo (MC)
Per appuntamento tel. 339.5428950