«Vorrei poterlo dire a tutti e, se me lo permette, anche a lei, dottoressa. Vorrei dire questo: non fate come me! Non fate come me, che ho dovuto ammalarmi per capirlo, per cominciare finalmente a vivere come volevo. Non aspettate, non rimandate, fatelo prima, finchè siete in tempo per godervelo, e non abbiate paura di essere felici.».
Ogni giorno incontro persone gravemente malate e ogni giorno qualcuno di loro sente il bisogno di lasciare questo messaggio, un insegnamento che ha tratto dalla propria esperienza di sofferenza e che vuole condividere con gli altri, perché la propria malattia acquisti ancora di più un senso.
A volte me lo dicono direttamente. Altre volte sono io che, ascoltando le loro storie e soprattutto il modo in cui la malattia li ha cambiati in meglio e li ha resi più saggi, ne traggo insegnamenti e un modello di vita per me.
La malattia toglie tanto, ma per molti è anche occasione di una riscoperta della vita e di un’evoluzione interiore vissuta come arricchimento, quella che viene definita col termine “resilienza“: «Ora sono capace di apprezzare anche le piccole gioie e di vivere nel presente», «Non perdo più energie a preoccuparmi inutilmente», «Tante mie stupide paure si sono ridimensionate», «Prima di ammalarmi ero disperata per il divorzio di mia figlia; ora ho capito che non sono quelle le tragedie della vita».
Alcuni lo dicono con amarezza e rimpianto: «Ho corso sempre per accontentare tutti», «Mi sono sempre preoccupata degli altri e mai di me stessa», «Ho rimandato sempre, pensando che ci sarebbe stato davanti un tempo infinito», «Avrei voluto, ma non avevo il coraggio». È l’incontro con la malattia, ma soprattutto con la paura concreta della morte, che scuote, sprona, dà la forza che finora era mancata per vivere come veramente si desidera.
Molti mi chiedono «Come fai a fare questo lavoro? Non è angosciante? Come fai a tornare a casa e lasciare fuori dalla porta quello che vedi e che senti? ». Ma io non ho nessuna intenzione di lasciarlo fuori dalla porta, perché mi serve, perché mi è utile. Filtrato, depurato, perché resti la parte più vitale, più costruttiva, quella che i miei pazienti disperatamente cercano di trasmettere agli altri, perché la propria sofferenza non resti senza senso, sterile, ma entri in un circolo trasformandosi in qualcosa di buono.
Tutti noi che per lavoro o per altri motivi siamo costantemente accanto a chi affronta il dolore di una grave malattia o di altri eventi drammatici della vita, sentiamo il peso, la fatica e l’angoscia di tutta la sofferenza con cui veniamo a contatto. Però abbiamo anche un’occasione irripetibile: ricevere il regalo di poter beneficiare di ciò che la sofferenza fa scoprire, senza doverla attraversare in prima persona. Il promemoria continuo di cosa ti può cadere addosso in un momento, ma anche di cosa poi alla fine puoi trarne di positivo, e il chiederci «E se succedesse a me? » senza sfuggire la penosa domanda, ci danno la forza di scegliere, di decidere, di cambiare, di mettere a fuoco cosa conta per noi e quale senso vogliamo dare alla nostra vita, senza perdere tempo, senza aspettare che sia qualcosa di doloroso a costringerci a cambiare. E ogni volta che qualche preoccupazione poco importante invade troppo la mia mente, arriva puntuale l’incontro con quel paziente che mi fa fermare a riflettere, a ridimensionare, ad apprezzare la fortuna di non dover fare i conti con quel dolore. Oppure, quando vedo come riescono ad adattarsi a situazioni penose, penso «Grazie che mi fai vedere che è possibile, che si può sopportare, che si può superare. Se accadesse anche a me, voglio provare a fare come te». Così, quello che tutti credono sia per me angosciante, diventa invece possibilità di serenità e fiducia.
Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Tel. 339.5428950