«Mi sento in colpa ad essere felice, mentre qui vicino c’è la guerra», «Mi vergogno ad andare in vacanza e divertirmi, pensando che ci sono bambini che stanno morendo», «Ho festeggiato la mia laurea, ma quasi mi sentivo cattiva, sapendo che c’è chi fugge dai bombardamenti»: sono alcuni dei pensieri che ho raccolto dai miei pazienti in questi giorni e che ho sentito pronunciare da più persone, da quando le notizie e le immagini della guerra in Ucraina sono entrate nelle nostre case, portando angoscia, rabbia e, appunto, senso di colpa.
Ci si sente in colpa nel proseguire una vita normale, e ancora di più nel fare qualcosa di leggero, piacevole o frivolo, mentre altri stanno soffrendo. Del resto, non si tratta solo di uno scrupolo personale perché commenti colpevolizzanti non sono affatto rari, specialmente sui social dove, sotto le foto di chi continua a condividere momenti spensierati, non manca mai il rimprovero di qualcuno che accusa di essere superficiali, insensibili ed egoisti.
In questo momento accade per la guerra, ma ci sono altre situazioni in cui tipicamente pensare a sè stessi e al proprio benessere è percepito come un atto egoistico e moralmente sbagliato. Come psicologa che da tanti anni si occupa di persone malate di tumore, conosco fin troppo bene la difficoltà dei familiari di una persona malata o morente a prendersi del tempo per sé, ad avere cura di sé, a concedersi un momento di svago e leggerezza, assolutamente necessari per poter avere le energie per assistere chi sta male. Si tratta forse di uno dei nostri compiti più ardui con i familiari: aiutarli a legittimare i propri bisogni e dargli spazio, pena l’esaurimento psico-fisico che non sarà di aiuto né al malato, né a loro.
Ricordo anche un’infermiera che era andata incontro a una profonda crisi personale, in quanto il pensiero della sofferenza dei suoi pazienti le provocava un insostenibile senso di colpa ogni volta che si trovava a vivere un momento felice con la sua famiglia. Pensare di essere felice e appagata mentre altri non avevano la stessa opportunità o stavano per perderla, la induceva a frenarsi, a boicottare le occasioni di benessere e piacere per sé e la sua famiglia, a invadere con una cupa tristezza ogni ambito della sua vita, per essere solidale con i suoi pazienti. In realtà, al contrario, dobbiamo essere felici e grati di questa nostra posizione avvantaggiata, che sia la nostra salute fisica o mentale, che sia una vita appagante, una famiglia gioiosa, qualunque altro aspetto di realizzazione personale, perché proprio una posizione di maggiore forza e sicurezza ci permette di avere più energia per assistere e aiutare. Vietarci di stare bene è uno sforzo sterile che non apporta nessun beneficio a chi soffre o chi ha bisogno; mantenerci in forma, ricaricati e soddisfatti ci renderà molto più pronti ed efficaci nell’aiutare, qualunque sia l’aiuto che decidiamo di dare.
Parliamo allora del “sano egoismo”, ovvero della possibilità di avere cura di sé, di legittimare i propri diritti, senza per questo arrecare un danno agli altri e, anzi, apportando indirettamente un beneficio anche a loro.
Il sano egoismo
“Egoismo” è un termine dalla forte connotazione negativa. Veniamo educati a non essere egoisti, a mettere il bene degli altri prima del nostro; chi annulla sé stesso per il bene altrui viene considerato un martire e un eroe, mentre chi sceglie di tutelarsi o di dare priorità ai propri bisogni viene fatto sentire in colpa, perché fa qualcosa di moralmente sbagliato. In realtà, da un punto di vista psicologico, essere altruisti non è sempre un bene (non solo per noi, ma anche riferito agli altri), come essere egoisti non sempre si traduce in un danno per gli altri, anzi. Essere sanamente egoisti significa aver cura del nostro bene, legittimare i nostri bisogni senza per questo danneggiare gli altri, ferirli o sottrargli qualcosa. Nel sano egoismo convivono il rispetto di sé e quello degli altri, e, di più, spesso il sano egoismo ci permette proprio di essere maggiormente efficaci quando ci troviamo ad aiutare gli altri. Essere soddisfatti della nostra vita ci spinge anche maggiormente ad occuparci degli altri e ci dà le energie per farlo.
Avere un sano egoismo non significa non curare le nostre relazioni, anzi. Il fatto di saper mettere un giusto confine, ovvero dei limiti a ciò che accettiamo di tollerare in una relazione, di non sottometterci per compiacere gli altri, di saper dire dei “no”, permette di avere relazioni più paritarie ed equilibrate, in cui uno non prevarica sempre su un altro, o in cui uno non deve rinunciare a sé stesso accumulando poi frustrazione e rancore. Essere sanamente egoisti significa anche prenderci la responsabilità della nostra vita, di fare ciò che ci fa stare bene, senza delegarla ad altri.
In realtà, un sano egoismo ci tutela dalla psicopatologia nostra e dei legami che formiamo. Tutte le persone che sviluppano un disagio psicologico, in qualche misura hanno perso il contatto con i propri bisogni, oppure li percepiscono e ne sono consapevoli, ma non riescono a legittimarli e dargli spazio, condannandosi a vite che non rispecchiano la loro autenticità o incastrandosi in legami disfunzionali. Di solito, chi è tutto sbilanciato verso il dare, si lega ad altri che hanno un ruolo complementare, tutto sbilanciato verso il prendere. Chi dà sempre il massimo agli altri senza pensare a sè stesso gode di una connotazione sociale positiva, ma in termini psicologici non fa affatto il bene dell’altro, perché per mantenere il suo ruolo altruista, condanna l’altro a restare cronicamente bisognoso o difettoso, senza nessuna possibilità di evoluzione. Inoltre, chi dà sempre tanto a costo di sacrifici personali, si aspetta comunque qualcosa, se non altro la gratitudine, e può stimolare nell’altro sensi di colpa o rivolgergli contro un’aggressività, più spesso larvata e passiva, ponendosi nella posizione di vittima.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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