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Leucemie e linfomi, ecco le nuove frontiere terapeutiche. L’intervista al professore Stefano Pileri dell’Istituto Europeo di Oncologia

Il professore, di origini marchigiane, è una vera e propria autorità nel campo dell'ematologia mondiale e sta conducendo numerose ricerche nell'ambito della diagnostica di precisione, tra le quali la "biopsia liquida"

Stefano Aldo Pileri
Il professor Stefano Aldo Pileri

Negli ultimi anni la scienza ha compiuto passi da gigante e, molte leucemie e linfomi un tempo incurabili, possono essere trattati con successo, controllati nel tempo e in molti casi addirittura guariti. Merito della ricerca molecolare, che ha portato allo sviluppo di terapie sempre più mirate e personalizzate.

Il sequenziamento massivo del genoma, condotto dal professor Stefano Aldo Pileri, direttore dell’Unità di Diagnosi Emolinfopatologica, presso il suo nuovo laboratorio all’IEO di Milano (Istituto Europeo di Oncologia), e la classificazione delle leucemie e linfomi dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per la quale è stato editore, hanno permesso di individuare tipi e sottotipi di tumori, differenziandoli sotto il profilo genetico della malattia. Questo ha permesso di sviluppare nuovi farmaci estremamente mirati.

Stefano Aldo Pileri, direttore dell’Unità di Diagnosi Emolinfopatologica dell’IEO di Milano

Un’appropriatezza nel trattamento che è figlia dell’accuratezza diagnostica. Professor Pileri, quali sono i vantaggi dei nuovi farmaci?
«I nuovi farmaci, spesso indicati quali farmaci intelligenti, sono specificamente diretti contro molecole espresse dalle cellule neoplastiche e/o dalle componenti non tumorali di accompagnamento, che comunque interagiscono con la popolazione tumorale. Tali molecole possono svolgere diverse funzioni, quali ad esempio alterare i processi metabolici delle cellule neoplastiche rispetto alla loro controparte normale e/o rendere le cellule neoplastiche “invisibili” al sistema immunitario. I nuovi farmaci intervengono correggendo l’errore o gli errori che permette/permettono alla popolazione patologica di moltiplicarsi e diffondere attraverso l’organismo, risultando al contempo protetta nei confronti della morte programmata cellulare (apoptosi), cioè quell’evento che consente il fisiologico ricambio delle cellule normali. Esempi di farmaci provvisti di tale azione sono gli inibitori delle tirosin-chinasi, che hanno rivoluzionato in senso positivo il decorso della leucemia mieloide cronica.

Allo sviluppo di questi nuovi farmaci ha largamente contribuito l’analisi del genoma, sviluppatasi nel corso degli ultimi 10 anni, che ha permesso di cogliere le alterazioni molecolari elementari (mutazioni, inserzioni, delezioni, riarrangiamenti), che alterano il codice genetico, con la conseguente sintesi di proteine patologiche. Un’altra possibile azione dei farmaci intelligenti è rappresentata dal riconoscimento di una molecola espressa sulla superficie della cellula neoplastica. È questo il meccanismo d’azione degli anticorpi monoclonali umanizzati, che possono svolgere un’azione citocida diretta oppure fungere da trasportatori di una sostanza, che viene internalizzata nella cellula patologica, uccidendola. La molecola bersaglio è scelta in base al fatto che questa sia espressa dalle cellule neoplastiche in maniera molto maggiore rispetto alle cellule normali, permettendo di colpire le prime senza recare danni importanti alle seconde.

È questo il razionale che il Professor Falini ed io utilizzammo nell’ormai lontano 1992 per sviluppare una immunotossina (cioè un anticorpo monoclonale coniugato con una tossina vegetale) diretta contro la molecola CD30, costitutivamente espressa dalle cellule neoplastiche in oltre il 95% dei casi di linfoma di Hodgkin, ma presente in meno dello 0,5% dei linfociti normali. Lo studio fu pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, ma non trovò alcun seguito per lo scarso interesse delle case farmaceutiche. A distanza di oltre 30 anni, un immuno-coniugato simile è divenuto commercialmente disponibile, essendo oggi comunemente utilizzato nel trattamento del linfoma di Hodgkin refrattario alla chemioterapia».

La Tailored Therapy (terapia su misura) nell’ambito della medicina di precisione, sta dando risultati incoraggianti. In quali casi può rappresentare un’alternativa all’uso dei chemioterapici?
«Il concetto di tailored therapy è alquanto ampio, in quanto comprende anche l’uso diversificato delle schedule di chemioterapia o di immuno-chemioterapia già disponibili in base alle caratteristiche patobiologiche del processo nel singolo paziente. Di fatto, ai malati, che pur rientrano nella stessa categoria, non è applicato un solo protocollo, uguale per tutti, ma sono effettuate importanti diversificazioni nel trattamento in base ad una serie di parametri aggiuntivi, in larga parte di tipo biologico, valutati paziente per paziente. Così, un malato che è portatore di un linfoma diffuso a grandi cellule B (categoria più comune nell’ambito dei tumori del sistema emolinfopoietico) può ricevere tipi diversi di immuno-chemioterapia (ad esempio, R-CHOP14, R-CHOP21, R-MegaCHOP, R-MegaCHOEP, DA-EPOCH-R, BFM), seguiti o meno da trapianto autologo da cellule staminali o addirittura essere sottoposto ad una terapia che preveda il trapianto autologo in prima battuta (R-HDS). La scelta fra queste opzioni è effettuata in base alle caratteristiche biologiche del processo nel singolo malato, indipendentemente dal fatto che appartenga ad un’unica classe tumorale.

Il concetto di tailored therapy diviene ancora più importante, quando si faccia riferimento all’uso dei “farmaci intelligenti” più sopra ricordati. La ricerca delle alterazioni molecolari può predire o meno la risposta ad uno o più farmaci di tale tipo. Esistono al momento diversi tentativi di sviluppare protocolli “chemio-free”, cioè basati sulla combinazione dei soli nuovi farmaci, senza alcun chemioterapico convenzionale. L’intento è di avere il massimo dell’efficacia terapeutica con minimi effetti tossici. Questi ultimi frequentemente compaiono con i chemioterapici convenzionali, in quanto possono agire non solo sulle cellule tumorale, ma anche su di una quota di cellule normali».

I nuovi farmaci, di contro hanno costi molto elevati, come affrontare il problema della sostenibilità della spesa sanitaria?
«Mediante una diagnostica molecolare avanzata. Infatti, questa è in grado di stabilire quali bersagli siano presenti nel campione esaminato, con costi che raggiungono le poche centinaia di euro a fronte di costi per i farmaci, che possono raggiungere le molte centinaia di migliaia di euro. In ultima analisi, un approccio di questo tipo consente l’uso selettivo dei farmaci innovativi, impiegandoli solo in quei pazienti, nei quali c’è una evidenza della loro efficacia, evitando un uso “a pioggia”, che non è socialmente ed economicamente sostenibile».

Leucemie, linfomi e mielomi, sono il quarto tipo di cancro più diffuso, con un picco di incidenza negli anziani. Quali sono oggi le prospettive di sopravvivenza a queste patologie?
«I linfomi e le leucemie si collocano al quarto-quinto posto per incidenza fra le patologie neoplastiche, almeno nei Paesi Occidentali, fra i quali l’Italia, anche se possono esistere delle variazioni di tipo geografico per alcune forme. Le Marche rispecchiano tale situazione epidemiologica. I risultati conseguiti nel corso degli ultimi 20 anni hanno significativamente aumentato il numero delle guarigioni, che per alcune forme, quale il linfoma di Hodgkin classico od il linfoma diffuso a grandi cellule B correlato agli elementi del centro germinativo, interessa circa l’80% dei malati. Ciò non toglie che esistano aree ancora critiche, per le quali i farmaci intelligenti potrebbero permettere di superare i limiti della chemioterapia convenzionale».

Professore, nel corso del convegno a Jesi, lei ha parlato di alcune sue ricerche. Quali sono le scoperte più recenti e importanti alle quali è giunto? E quali saranno i suoi prossimi ambiti di indagine?
«Nel corso degli ultimi anni, il mio gruppo ha pubblicato contributi originali ed innovativi in diversi settori della emolinfopatologia, che vanno dai linfomi a cellule T periferiche, al linfoma diffuso a grandi cellule B, al sarcoma mieloide, alla neoplasia blastica di derivazione dagli elementi plasmocitoidi dendritici.

Alcuni di questi studi, basati sull’impiego anche di modelli sperimentali murini, cioè di topi immunodeficienti inoculati con cellule neoplastiche umane, hanno dischiuso nuove possibilità terapeutiche in neoplasie a prognosi poco favorevole. L’impegno presente futuro è nella direzione dello sviluppo di una diagnostica sempre più puntale e sofisticata, che a costi accessibili, consenta, sia l’uso razionale che il riposizionamento dei farmaci esistenti o in sperimentazione, mediante l’identificazione dei meccanismi patobiologici che sottendono alla malattia nel singolo paziente. Un ulteriore goal è l’applicazione della biopsia liquida, basata sul sequenziamento del Dna tumorale libero nel plasma, al fine di monitorare la risposta alla terapia e cogliere eventuali riprese della malattia in una fase pre-clinica».

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