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Stile di guida e psicologia: come la personalità influenza il modo di guidare

Il modo in cui guidiamo l'automobile è influenzato dai tratti di personalità e da altre variabili psicologiche. L'analisi della psicoterapeuta Lucia Montesi

Guidare è un’attività che occupa molto spazio nelle nostre vite e che tendiamo a praticare in modo automatico. Molti non sono infatti consapevoli del proprio stile di guida, ovvero il comportamento e la maniera di agire di ciascun conducente mentre è alla guida, che comprendono ogni azione fatta a bordo del veicolo, dal modo di ingranare la marcia, alla distanza di sicurezza tenuta, all’uso o meno del cellulare. Il modo di guidare può essere influenzato non solo dalle condizioni fisiche del conducente, ma anche dagli aspetti cognitivi ed emotivi. Le variabili psicologiche sono state attentamente studiate perché hanno un ruolo significativo nel determinare la sicurezza o pericolosità dello stile di guida e di conseguenza nella prevenzione degli incidenti.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Stili di guida e tratti di personalità

Lo stile di guida è influenzato dai tratti di personalità. Sulla base della “Teoria dei big five” (McCrae, Costa) che ipotizza cinque grandi fattori di personalità, la comunità scientifica ha individuato quattro stili di guida. I cinque fattori che costituiscono la personalità sono estroversione/introversione, nevroticismo/sicurezza emotiva, coscienziosità/impulsività, apertura/chiusura, amicalità/ostilità. Le persone possono trovarsi in varie posizioni lungo il continuum che caratterizza ogni fattore. Sulla base di questo modello, Taubman-Ben-Ari descrive quattro possibili stili di guida:

1. spericolato e negligente: è caratterizzato da velocità elevata, ricerca di emozioni forti, violazione deliberata delle norme di guida. Questo stile è correlato con alti livelli di impulsività, scarsa tolleranza alla frustrazione e bisogno di sensazioni forti e con bassi livelli di autostima, estroversione e amicalità. In questi conducenti, mancanza di altruismo ed empatia portano a non avere rispetto degli altri e della loro incolumità.

2. ansioso: è caratterizzato da costante tensione, stress e ipervigilanza alla guida. I conducenti con questo stile di guida tendono ad avere bassa fiducia nella propria capacità di guida, percepiscono gli altri guidatori come uno stress, hanno livelli più elevati di ansia di tratto e nevroticismo e preferiscono evitare più possibile di guidare.

3. arrabbiato e ostile: è caratterizzato da un comportamento alla guida aggressivo e ostile, ad esempio il conducente non tollera di avere ostacoli, pressa chi lo precede avvicinandosi troppo o sorpassa abbagliando, suona il clackson se gli altri non scattano al verde del semaforo. Chi ha questo stile tende a entrare in competizione con gli altri conducenti e ad avere livelli più elevati di aggressività, impulsività e ricerca di sensazioni forti.

4. paziente e attento: è caratterizzato da attenzione, calma, pazienza e rispetto delle norme di guida. Il conducente con questo stile è empatico, attento e rispettoso delle regole.
Solo lo stile paziente e attento è considerato sano e adattivo, mentre gli altri sono considerati connessi a una guida pericolosa, in proporzione all’intensità delle caratteristiche disadattive. Tutti e tre gli stili disadattivi sono caratterizzati da una bassa coscienziosità, ovvero il tratto che comporta alto livello di aspirazione, rispetto delle norme, buon controllo degli impulsi, buona capacità di pianificazione e organizzazione. La coscienziosità è il tratto di personalità più rilevante perché è associato a consapevolezza e responsabilità e produce uno stile di guida sicuro ed efficace.

Maschio e giovane, l’identikit del guidatore a rischio

Lo stile di guida incide sulla pericolosità della guida più delle capacità di guida. Le capacità di guida riguardano la prestazione alla guida, che tende a migliorare con l’età e la pratica, ma un’eccessiva sicurezza nelle proprie abilità di guida può portare ad assumersi rischi maggiori e quindi a una guida più pericolosa. Soprattutto anziani e adolescenti tendono a sovrastimare la propria abilità di guida ritenendola superiore alla media.
I giovani maschi tendono a guidare in modo più aggressivo e incurante rispetto alle femmine e percepiscono meno i rischi, ritenendosi più abili alla guida. In generale, i maschi tendono ad avere una guida più pericolosa delle femmine. I giovani che abitualmente guidano in modo rischioso (non utilizzare la cintura di sicurezza, guidare sotto l’effetto di alcol, usare lo smartphone durante la guida) non si percepiscono come più pericolosi rispetto agli altri conducenti più cauti, pensano di potersi controllare, di saper gestire le situazioni pericolose e di essere immuni dalle conseguenze dei loro comportamenti trasgressivi.

Il ruolo delle emozioni

La capacità di autoregolazione emotiva ha un ruolo importante: l’attivazione emotiva incontrollata influenza la percezione e l’elaborazione delle informazioni ambientali, diminuendo l’efficacia del guidatore e aumentando il rischio di incidenti. La rabbia e la ricerca di emozioni forti comportano un aumento della velocità alla guida e una riduzione della distanza di sicurezza. Anche paura, tristezza e noia possono influenzare le capacità di attenzione, giudizio e decisione. La guida pericolosa è associata a una scarsa consapevolezza delle proprie emozioni, alla difficoltà a controllare gli impulsi e a trovare strategie per gestire le emozioni.

L’auto ci rende tutti un po’ più aggressivi

Anche la persona più pacata può arrabbiarsi più facilmente e diventare aggressiva quando è alla guida di un’auto. Questo accade per due ordini di motivi. Innanzitutto, l’automobile altera i parametri spazio-temporali, modificando la percezione del nostro spazio personale e del tempo. L’auto crea l’illusione di una distanza emotiva maggiore tra le persone: essere chiusi nella nostra auto crea una barriera che ci fa sentire più al sicuro e più protetti dagli altri, per cui ci permettiamo maggiormente di urlare, imprecare, insultare o fare gesti aggressivi. Tendiamo a percepire l’auto come uno scudo che ci protegge e ci isola e come uno spazio estremamente privato, fino ad essere quasi un prolungamento del nostro corpo. Il tempo è percepito in modo alterato: il ritardo di chi ci precede nel ripartire al semaforo verde ci sembra lunghissimo e ci fa pensare di stare perdendo tempo prezioso, mentre la velocità con cui pensiamo di poterci allontanare e non subire le reazioni dell’altro facilita espressioni e gesti ostili. L’aggressività è favorita dalla sensazione di anonimità e dal fatto che con gli altri automobilisti non abbiamo un rapporto faccia a faccia e quelle informazioni derivanti dal contatto diretto con l’altro che potrebbero renderci più empatici (come accade sui social network, in cui non avere un confronto fisico con l’interlocutore favorisce atteggiamenti poco rispettosi che difficilmente si avrebbero vis-a-vis).

Secondariamente, il traffico stesso, l’affollamento stradale, la difficoltà a trovare parcheggio esasperano e inducono tensione che può scaricarsi in comportamenti aggressivi, legati alla frustrazione. Il traffico induce infatti frustrazione, il vissuto spiacevole di essere ostacolati nel raggiungere l’obiettivo, nel muoverci nei tempi e nelle direzioni che vorremmo. La folla suscita anche una reazione atavica di ostilità perché percepita come potenzialmente pericolosa, come un gran numero di persone estranee con cui si è in competizione. Nel traffico si crea inoltre un sovraccarico cognitivo per la necessità di prestare attenzione a molteplici fattori contemporaneamente e per l’eccesso di stimoli a cui siamo sottoposti.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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