Nei giorni scorsi si è celebrata nel mondo la Giornata contro la violenza sulle donne, violenza purtroppo diffusa sotto molteplici forme. Un aspetto strettamente collegato alla violenza sulle donne e troppo spesso sottovalutato, riguarda le conseguenze sui figli. Bambini e ragazzi che vivono in famiglie caratterizzate da violenza domestica tra i genitori, sono infatti a loro volta vittime della cosiddetta “violenza assistita”.
La violenza assistita consiste nel “fare esperienza del parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte e minori” (Cismai, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia). Di questa violenza il bambino può fare esperienza direttamente o percepirne gli effetti, ad esempio può non essere presente agli episodi di violenza ma percepire la disperazione della madre.
La violenza assistita costituisce un’esperienza traumatica che può avere un impatto diverso a seconda dell’età, del tipo e frequenza di eventi in cui i figli sono coinvolti, della presenza o meno di altri fattori protettivi che mitigano e rendono più superabile il trauma. Il trauma è sia acuto che cronico: acuto durante gli episodi di violenza, cronico per lo stato continuo di allerta e angoscia per ciò che potrebbe accadere. Perciò non si tratta di essere semplicemente spettatori e testimoni di violenza, ma si diventa a propria volta vittime.
Le possibili conseguenze della violenza assistita riguardano ogni aspetto di vita di bambini e adolescenti, con effetti sul piano affettivo, cognitivo, comportamentale, sociale:
– Lo stesso sviluppo fisico può essere compromesso soprattutto nei bambini più piccoli, con ritardo nello sviluppo psicomotorio e deficit nello sviluppo di altezza e peso. Inoltre i minori possono riportare danni fisici diretti nel tentativo di difendere la madre o sorelle e fratelli, mettendosi in mezzi nello scontro fisico e potendo essere colpiti da calci, schiaffi, pugni o oggetti lanciati.
– Lo sviluppo cognitivo è compromesso, con ritardi nello sviluppo cognitivo e del linguaggio, deficit dell’attenzione, difficoltà di concentrazione, impulsività, difficoltà di apprendimento, basso rendimento scolastico. Del resto, un bambino che viva nella costante preoccupazione di ciò che avviene in famiglia, non ha sufficienti energie e spazio mentale per dedicarsi all’apprendimento e a volte rifiuta di recarsi a scuola per mantenersi vicino al familiare maltrattato e proteggerlo.
– Sono comuni emozioni negative e veri e propri disturbi mentali come paura, tristezza e rabbia, ansia, bassa autostima, depressione, idee suicidarie, disturbi del sonno e dell’alimentazione, agitazione e irrequietezza, enuresi notturna, somatizzazioni, uso di alcol e sostanze, autolesionismo, crudeltà verso gli animali, disturbo post traumatico da stress.
– Difficoltà nelle relazioni sociali con scarsa capacità di gestione della rabbia, scarse capacità empatiche, isolamento dal gruppo dei pari, bullismo, delinquenza. La grave conseguenza della violenza assistita è l’interiorizzazione di modelli basati sull’uso della violenza: sia maschi che femmine apprendono un modello di relazione in cui la violenza è giustificata e in cui amore e sopraffazione dell’altro sono intrecciati e confusi.
– Impotenza, senso di colpa per non poter fare niente per evitare le violenze, per la sensazione di essere dei privilegiati a non subire direttamente le violenze, o per la convinzione di essere essi stessi la causa dei litigi tra i genitori.
– Vissuto di essere invisibili e non considerati e perdita di fiducia negli adulti, in quanto il loro dolore non è percepito e considerato dai genitori. I genitori sottovalutano il dolore dei figli: molte madri maltrattate sono convinte che i figli non percepiscano la violenza perché non presenti, perché in un’altra stanza o perché dormono. In realtà non è necessario assistere direttamente: anche vedere i segni fisici sul corpo della madre, o oggetti rotti o percepire la paura della madre, sono altrettanto traumatici.
– Rovesciamento dei ruoli e adultizzazione del bambino, che si trova ad accudire e proteggere la madre maltrattata, sia cercando di prevenire ed evitare le violenze, sia restando più possibile con la madre ed evitando di separarsene, con grave danno per l’autonomia. Si stabilisce perciò una relazione paritaria col genitore, in cui i figli perdono guida, protezione e sostegno.
– Stile di attaccamento disfunzionale in quanto la relazione di attaccamento verso entrambi i genitori è danneggiata. Non è possibile instaurare un attaccamento sicuro, che richiede una figura adulta disponibile, protettiva, capace di dare affetto ed essere un punto di riferimento stabile. Da un lato la madre maltratta difficilmente può occuparsi in modo sereno dei figli, può essere poco presente emotivamente o insicura e imprevedibile, dall’altro il padre maltrattante è minaccioso: i figli sono pertanto privi dell’esperienza di un accudimento stabile.
La violenza assistita è perciò un grave fattore di rischio per lo sviluppo dei figli e gli operatori che si occupano di violenza alle donne devono sempre ampliare il raggio di osservazione su tutta la famiglia, per intervenire immediatamente anche nei confronti di bambini e ragazzi. Non tutti i figli esposti a violenza domestica sviluppano automaticamente gravi conseguenze: se ci sono fattori protettivi, essi possono sviluppare resilienza e non essere eccessivamente danneggiati. La presenza di un adulto disponibile che, oltre ad intervenire per fermare la violenza, possa ascoltare e condividere la tristezza, la paura, l’impotenza e faccia sentire questi bambini sostenuti e protetti, rappresenta un fattore in grado di cambiarne il destino.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Per appuntamento tel. 339.5428950
Prestazioni psicologiche anche online