ANCONA – Mascherine chirurgiche scadute vendute al comitato di Ancona della Croce Rossa Italiana (Cri). Il tribunale di Bologna ha emesso la sentenza poche ore fa: condannata l’azienda emiliana, provvisionale di mille euro al comitato dorico della Cri.
Una vittoria arrivata dopo quasi tre anni di processi e lungaggini burocratiche dopo che il legale rappresentante (e imputato) della ditta in questione aveva impugnato il decreto di condanna e si era quindi aperto il processo ordinario. Il comitato dorico della Croce Rossa, difeso dall’avvocato Irene Pastore, può finalmente esultare. Si è infatti concluso poco fa il processo per frode in commercio relativo alla vicenda delle mascherine chirurgiche scadute (vendute come idonee) in tempo di pandemia.
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Il dispositivo vede, oltre alla condanna dell’imputato, la condanna al risarcimento del Comitato quale parte civile costituita la cui quantificazione è rimessa a separato giudizio civile che inizierà a breve, riconoscendo però provvisionale immediatamente esecutiva di euro 1000 a favore del Comitato.
Una vicenda che risale al 2020, come spiega il legale (volontaria della Cri), appena rientrata da Bologna: «Il Comitato aveva acquistato, anche per altri comitati della regione, da un’azienda del bolognese circa 9mila mascherine chirurgiche per una spesa di 3.294 euro. Mascherine che erano per noi fondamentali, dato che oltre al servizio emergenze in ambulanze, consegnavamo farmaci a persone vulnerabili, alle persone costrette all’isolamento per la positività al virus. E poi trasportavamo i malati oncologici». D’altronde, i servizi sanitari non si fermano mai, neppure in tempo di pandemia.
Mascherine, dicevamo, «che si è scoperto essere state ri-etichettate e di cui non era visibile la data di scadenza originaria. Queste mascherine erano scadute – ribadisce l’avvocato –. Noi, nell’immediatezza, a suo tempo, come Comitato, ci eravamo adoperati per la restituzione del prezzo, visto che l’azienda aveva preteso il pagamento anticipato. Loro avevano ripreso le mascherine ma noi, per dovere etico morale, abbiamo segnalato la vicenda ai Nas per evitare che fossero reimmesse in commercio».
«Nei primi mesi del 2023 ci è arrivata la notifica come persona offesa dell’emissione di un decreto penale di condanna. Il legale rappresentante della ditta, imputato, aveva fatto opposizione e si è aperto il processo vero e proprio. Nel procedimento penale ci siamo costituiti parte civile, abbiamo chiesto un risarcimento del danno».
La volontà del presidente (Gianni Barca) e di tutto il consiglio direttivo è stata chiara sin da subito: «Qualsiasi somma ricevuta, essendo stato fatto un danno non tanto a noi, quanto alla comunità, sarebbe tornata alla comunità. Quindi la investiremo in ambito sociale, per la gente, magari in automezzi, vedremo».