JESI – Una cerimonia intima, con i familiari e gli amici di sempre. I volti del teatro, il suo mondo. Le persone che lo hanno amato e che hanno atteso di poterlo salutare per l’ultima volta. Così la città di Jesi ha detto addio al maestro Corrado Olmi. Oggi pomeriggio alla chiesa di San Giovanni Battista (conosciuta come “San Filippo”) in corso Matteotti, l’addio all’attore jesino scomparso a Roma il 29 dicembre scorso all’età di 94 anni. Accanto alle figlie Veronica e Paola (Alessandra non ha potuto partecipare per un problema di salute), alle nipoti Anna (figlia di Alessandra) e Matilde, ai familiari, si sono stretti il vice sindaco Luca Butini, il direttore generale della Fondazione Pergolesi Spontini Lucia Chiatti, gli Onafifetti, l’ex direttore del teatro Pergolesi Franco Cecchini, l’imprenditore Antonio Mattoli, l’attore e storico capocomico del teatro Pirata Gian Francesco Mattioni.
L’urna contenente le ceneri dell’attore, posizionata sulla navata centrale davanti all’altare, su un tavolino. In fondo alla chiesa, i libri scritti e illustrati dall’attore, a disposizione di chi volesse ricordare Olmi attraverso le sue opere e le sue idee. La cerimonia di saluto, officiata da don Claudio Procicchiani, si è aperta con la canzone Alleluja, intonata dalla nipote Matilde. Poi spazio al ricordo e alla commozione, a tutto quel percorso fatto insieme al papà Corrado, prima ancora che al grande attore.
«Ci piace immaginarti felice e finalmente libero – dice la figlia Veronica, ricordando l’amato padre a nome di tutte le sue sorelle –, ci piace pensare che tu abbia già riabbracciato mamma. È quello che volevi. Oggi siamo più tristi e più soli. Il senso di smarrimento è grande. L’unica salvezza è pensare non al vuoto che lasci ma alla pienezza di vita che ci hai regalato, che ci avete regalato tu e mamma. Sia la vita vissuta noi tre insieme, sia la vita che ci avete permesso di esplorare autonomamente, da sole nel mondo. Ci hai trasmesso l’intraprendenza, il coraggio di seguire la strada sognata. La parsimonia e la condivisione, la follia e la concretezza. La liberà, che non significa assenza di responsabilità, di impegno, di rispetto. Anzi. Ci hai insegnato la leggerezza, che non significa superficialità. Una vita lunghissima la tua, goduta fino alla fine. Lucido, presente, curioso».
Le figlie ricordano in una toccante lettera gli anni dell’infanzia in cui gli occhi di bambine osservavano quel padre così speciale calcare i palcoscenici dei più grandi teatri o prepararsi per andare sul set di qualche film. Ricordi lucidi, precisi, pezzi di mosaico che si incastonano a ricostruire la figura dell’indimenticato attore jesino. «Tournée interminabili che ti portavano lontano da casa, ma comunque c’eri – ricordano ancora le figlie -; noi che con mamma ti raggiungevamo quando possibile, sedute in platea, dietro le quinte o sul set a osservare; o nei camerini (sempre poco riscaldati) a fare i compiti.. Tra gli attori e le ballerine che si cambiavano veloci abiti, parrucche, scarpe, piume…; nel golfo mistico quando l’orchestra prova e accorda gli strumenti; oppure in teatro a mandare gli inviti per la prima (quelli che si spedivano, con le buste scritte a mano e i francobolli che ci dicevi di non leccare). Serate a “sentirti la parte” che dovevi imparare durante le prove, prima del debutto. Pomeriggi a dipingere e disegnare, a trovare robe in giro per gli oggetti di scena. E poi gli acquarelli, le caricature, le illustrazioni, i bozzetti, le locandine, i programmi di sala, le ceramiche, i libri, le mostre, gli scritti… il tuo modo di raccontare, di relazionarti con gli altri. I viaggi in macchina (per tanti anni la Citroen-due cavalli, in 5) dove si finiva sempre per cantare le canzoni che amavi. Se ne va un’epoca che per fortuna, in parte abbiamo annusato e respirato. Modi di fare, pensieri, azioni di un mondo diverso da quello attuale, che fanno parte di noi».
Il commosso ricordo delle figlie si conclude quasi con una promessa al papà, che resterà nelle azioni di chi lo ha amato. «Ci hai insegnato la bellezza, i colori, l’armonia – dicono ancora -. Di difetti eri pieno, ma i pregi hanno sempre prevalso. Le occasioni di disaccordo e di scontro non sono mancate. Ma i motivi di accordo e di condivisione sono sempre stati di gran lunga maggiori, più interessanti e significativi. Ti ritroveremo nelle parole che usiamo, nelle nostre mani che lavorano, nei nostri sguardi. Nelle frasi ricorrenti e apparentemente incomprensibili, che sono tue e solo tue (ma in verità anche nostre, inevitabilmente). Ti ritroveremo nel carattere delle nostre figlie e dei nipoti, che stanno crescendo e che ti hanno conosciuto, chi molto chi poco, non importa. Ognuno di noi con la sua maglietta a righe. Invecchiare è un privilegio e una fortuna averti avuto con noi così a lungo. Ci siamo divertiti parecchio. E siamo sicuri continuerai, da qualche parte dell’universo, con i tanti che ti stavano aspettando. E sarà il più lungo degli applausi. Buon viaggio papà, grazie di tutto».
Le nipoti, in particolare Anna che ha letto un piccolo ricordo del nonno, ha voluto condividere una raccomandazione frequente del nonno: «Invecchiare è un privilegio, possiamo credere sempre alla vita che è molto, molto bella anche se non è una favola, come dicevi spesso a mamma Alessandra».
La cerimonia si è chiusa con una canzone, Non maledire questo nostro tempo de I Gufi, arrangiata dal maestro Luca Pierpaoli, intonata dagli Onafifetti: era quella che cantavano sempre nei loro spettacoli, insieme a Corrado Olmi. E quella che hanno intonato oggi in chiesa, seguiti da quanti la conoscevano, per l’amico Corrado Olmi.