Cronaca

Jesi, zona ex Piccitù, la Cassazione conferma: «Nulla è dovuto al Comune»

La vicenda trae origine dalle diverse convenzioni di cessione di aree stipulate dal Comune nel 1983

Il Comune di Jesi

JESI – Ora lo ha confermato anche la Corte di Cassazione. Il Comune di Jesi deve pagare 7.200 euro alle famiglie titolari del diritto proprietà. La vicenda trae origine dalle diverse convenzioni di cessione di aree stipulate dal
Comune nel 1983 per gli alloggi sorti poi a Jesi in zona ex Piccitù, vicino via Fausto Coppi.

Ora dunque a riferire l’esito della vicenda gli avvocati Stefano Serrini e Paolo Mocchegiani del Foro di Ancona. «La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14859/2024 pubblicata in data 28.5.2024, ha confermato la sentenza emanata dalla Corte di Appello di Ancona 1042/2020 pubblicata in data 10.10.2020 (con cui il Collegio di secondo grado aveva respinto la domanda riconvenzionale proposta dal Comune e dichiarato che nulla era dovuto all’Ente medesimo in ragione dei titoli dedotti in giudizio) respingendo la richiesta del Comune di Jesi volta ad ottenere la condanna dei singoli assegnatari (ex soci di Cooperative che avevano acquistato a seguito di assegnazione per convenzione tra Comune ed Opera Pia Casa di Riposo “Vittorio Emanuele II” degli alloggi realizzati sulle aree ubicate in zona ex Piccitù – nelle immediate adiacenze di via F. Coppi e via Mazzola principalmente) al pagamento, a titolo di conguaglio del prezzo di cessione, disponendo che nulla dagli stessi era in realtà dovuto».

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E ancora: «Secondo la Corte di Cassazione – Prima Sezione Civile – risulta pacifica la circostanza che le Cooperative (di cui le odierne famiglie controricorrenti erano socie) avessero corrisposto al Comune le rispettive quote, appunto relative al costo globale di acquisizione delle aree nonché al coste globale delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dell’intero comprensorio realizzate dal Comune di Jesi e, pertanto, non poteva operare il meccanismo del principio del perfetto pareggio economico di bilancio che presuppone un recupero di un costo sostenuto. I giudici hanno dichiarato inammissibili tutti i motivi di ricorsi dispiegati dalla
PA e condannato il Comune di Jesi, a titolo di rimborso delle spese processuali del giudizio di legittimità, al pagamento in favore delle famiglie titolari del diritto di proprietà su detti alloggi la somma di 7.200 euro; esborsi per euro 200 oltre Iva, Cap e rimborso forfettario 15% ed ulteriore importo a titolo di contributo unificato».

La vicenda
Il fatto trae origine dalle diverse convenzioni di cessione di aree stipulate dal Comune nel 1983 «con le Cooperative di cui i predetti erano soci, nell’ambito del progetto di edilizia economica e popolare approvato dal Consiglio Comunale. Allo scopo di darvi attuazione, il Comune aveva espropriato alcuni terreni, successivamente ceduti a dette cooperative in forza di atti in cui il prezzo di cessione, in parte determinato in parte determinabile sulla base di quanto il Comune avrebbe corrisposto ai soggetti espropriati, prevedeva allo scopo la clausola “salvo
conguaglio”. In data 26.5.2000 il Comune (giunta Belcecchi) ingiungeva il pagamento di somme pari a circa lire 1.657.239.000 (euro 855.891,51) nei confronti degli assegnatari a titolo di conguaglio del corrispettivo di assegnazione di dette aree, importo che l’Ente reputava di introitare».

Gli avvocati Serrini e Mocchegiani spiegano che: «Si sviluppava in tal modo un ampio contenzioso che inizialmente riguardava 400 famiglie, delle quali successivamente 288 aderivano alla transazione proposta dalla Amministrazione Comunale, per le restanti 112 (proprietari in diritto di superficie e in diritto di proprietà) iniziava una lunga fase giudiziale. L’ordinanza odierna, dopo un contenzioso ultraventennale, ha accolto integralmente la tesi della difesa dei titolari del diritto di proprietà controricorrenti, patrocinati appunto dagli avvocati stessi».