PORTO RECANATI – Scomparve da casa a 15 anni. Era il 2010. Dopo 8 anni parte dei resti dell’adolescente furono trovati in un campo alle spalle dell’Hotel House. Domani, giovedì 7, si aprirà a Macerata il processo in Corte d’Assise a carico dell’ex fidanzato di Cameyi Moshammet, il connazionale bengalese, oggi 32enne, Monir Kazi. Ma il giovane ha lasciato l’Italia nel 2011 per tornare nel suo Paese d’origine (a Charkamarkandi Neloke Bundur), da allora di lui si è persa ogni traccia. Il procedimento a suo carico sarà comunque celebrato in sua assenza dal momento che all’epoca Kazi elesse domicilio presso lo studio di un avvocato di Ancona, è accusato dell’omicidio volontario della 15enne Cameyi. Per la Procura di Macerata Kazi avrebbe ucciso la fidanzatina per futili motivi, la gelosia per un altro giovane extracomunitario frequentato dalla minorenne sarebbe stato il movente del delitto. È invece prescritta l’iniziale ipotesi di reato di occultamento di cadavere.
L’omicidio Cameyi
La vicenda risale al 2010. All’epoca Cameyi viveva ad Ancona insieme ai genitori e ai tre fratelli. La mattina del 29 maggio uscì di casa per poi scomparire nel nulla. Grazie ai filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza e alle celle agganciate dai telefonini della 15enne e del suo fidanzato, gli inquirenti erano riusciti a ricostruire gli spostamenti della coppia: quel giorno presero il treno ad Ancona e scesero alla stazione di Porto Recanati, da lì proseguirono verso l’Hotel House dove all’epoca viveva Kazi. Da quel momento il segnale del cellulare della ragazzina sparisce e con esso ogni traccia della 15enne per otto lunghi anni. Il 28 marzo del 2018 il colpo di scena: dei finanzieri impegnati in un controllo antidroga nei pressi dell’Hotel House videro un femore umano spuntare dal terreno.
Quel ritrovamento fortuito riaprì il caso. La zona del ritrovamento, un campo tra un casolare abbandonato e un pozzo interrato in via Santa Maria in Potenza, fu transennato e iniziarono gli scavi che andarono avanti per giorni, furono trovati resti umani e grazie a due denti il consulente della Procura riuscì a comparare il Dna con quello dei familiari di Cameyi riscontrando che appartenevano alla 15enne. Ad Ancona il fascicolo venne riaperto e mandato alla Procura di Macerata per competenza. Subito dopo la scomparsa dell’adolescente, infatti, Monir Kazi venne inizialmente indagato per sequestro di persona, ma nel 2015 l’indagine fu archiviata. Domani, si aprirà il processo per omicidio volontario, la madre e i fratelli di Cameyi (il padre, gravemente malato, morì poco dopo la scomparsa della figlia), sono parte civile con l’avvocato Luca Sartini. Kazi, invece, è difeso d’ufficio dall’avvocato Marco Zallocco.
«Purtroppo non sono riuscito a contattare nessuno, né mi hanno contattato – ha spiegato il difensore di Kazi –. Il processo sarà di fatto un abbreviato senza sconto di pena, perché quelli che hanno potuto dire qualche cosa, purtroppo in buona parte giudizi, sul mio assistito, l’hanno detto, quelli che hanno potuto raccontare qualcosa, pochissimo, l’hanno detto, i tabulati e le intercettazioni sono quelle e possono essere interpretate in vari modi, sta di fatto che è tutto lì. Non è chiaro dopo più di 10 anni cosa possa venire fuori di nuovo. Nel migliore dei casi i testimoni potranno dire le stesse cose dette 12 anni fa, altrimenti diranno dei semplici “non ricordo”».
«Di determinante e di concreto da allora nei confronti del mio assistito non c’è stato nulla – ha aggiunto l’avvocato Zallocco –, altrimenti il pubblico ministero e il gip di Ancona non avrebbero archiviato il procedimento (per sequestro di persona, ndr). Non è l’aver trovato le ossa della poverina che cambia qualcosa. Come ci insegna il caso di Saman Abbas (la ragazza pakistana scomparsa ad aprile 2021 da Novellara dopo aver rifiutato un matrimonio combinato, ndr), quando c’è qualcosa di più nelle indagini non è necessario trovare il cadavere per processare delle persone, il fatto che nel nostro caso siano state trovate le ossa non ha aggiunto nulla di più rispetto a quello che c’era contro il mio assistito».