MACERATA – Il 7 gennaio scorso, una manciata di minuti dopo mezzogiorno, padre, figlia e nipote uscirono dal comando provinciale dei carabinieri a Macerata. Quella mattina erano fissati gli interrogatori davanti al sostituto procuratore Vincenzo Carusi, ma tutti e tre gli indagati per l’omicidio di Montecassiano della 78enne Rosina Carsetti si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. «In questo momento riteniamo che debba essere garantito il massimo rispetto a queste persone che sono state travolte da un lutto e da una vicenda giudiziaria e oggettivamente sono molto frastornati», aveva dichiarato l’avvocato Valentina Romagnoli all’uscita dalla caserma.
Terminati tutti gli adempimenti del caso, infatti, gli indagati erano usciti. Arianna Orazi, figlia di Rosina, mani in tasca, senza dire una parola si era affrettata a raggiungere la Jeep del figlio Enea Simonetti e, una volta aiutato il padre Enrico a salire sul mezzo, tutti si erano allontanati. Un’ora dopo nei pressi dello studio legale degli avvocati Andrea Netti e Valentina Romagnoli era stata vista un’auto dei carabinieri ferma, con le quattro frecce inserite, e poco dopo quell’auto di servizio e la Jeep di Enea erano ripartiti alla volta della caserma. «Un’ulteriore controllo burocratico», era stato detto per mantenere il riserbo su quanto era appena successo, ma oggi, dopo un mese, è emerso quanto accaduto.
Quella mattina, in attesa che venissero interrogati separatamente, i tre indagati erano stati fatti accomodare in un ufficio della caserma. Dopo che la figlia di Rosina è uscita, però, i carabinieri si erano accorti che un’anta di un armadio era sì chiusa ma sporgeva di alcuni millimetri mentre alcuni oggetti che erano sulla scrivania erano stati spostati. A quel punto i tre indagati erano stati rintracciati (erano nello studio dei loro legali) e mamma e figlio erano stati riportati in caserma. Lì i carabinieri li avevano invitati a dire se avevano preso qualcosa e nel caso di riconsegnarlo immediatamente ed è stato allora che Arianna aveva sfilato dalla tasca del giubbotto un paio di guanti in pelle marrone, dicendo che erano del figlio Enea che li aveva dimenticati in caserma la sera dell’omicidio di Rosina. Ai militari Arianna avrebbe confessato di aver aperto l’armadio e di essersi accorta della presenza di quei guanti, quindi li aveva presi e infilati in tasca senza dire niente a nessuno. A quel punto i guanti sono stati ripresi e sequestrati. Ora, dunque, si aggrava la posizione della figlia di Rosina che dovrà rispondere anche di furto aggravato. Quei guanti saranno analizzati dai Ris di Roma insieme ad una serie di reperti ed è per quei guanti che l’8 febbraio scorso i legali degli indagati avevano sollevato un’eccezione di ammissibilità o utilizzabilità.
È di oggi intanto la decisione della procura di restituire ad Arianna Orazi le nove carte di credito trovate nella sua borsa il 24 dicembre scorso e poste sotto sequestro e l’account della posta elettronica a lei in uso. Non solo. La procura ha anche autorizzato i tre indagati a rientrare nella villetta di via Pertini a Montecassiano teatro dell’omicidio, solo alla presenza dei carabinieri e solo per prendere dei vestiti.