Cronaca

Omicidio di Rosina: la Procura chiede tre ergastoli per marito, figlia e nipote

Per il pubblico ministero Vincenzo Carusi l'autore materiale sarebbe stato il nipote Enea, ma i parenti avrebbero concorso nel delitto. Per il magistrato il movente non è economico ma «l’atto finale è stato commesso nell’occasione di un ennesimo atto di sopraffazione»

Enea Simonetti, Enrico Orazi, Arianna Orazi all'uscita dalla caserma dei carabinieri (foto d'archivio)

MACERATA – Omicidio della 78enne Rosina Carsetti, la Procura presenta il conto: chiesti tre ergastoli, per marito, figlia e nipote. Al termine della requisitoria iniziata poco prima delle 10 e terminata alle 13 il pubblico ministero Vincenzo Carusi ha ripercorso i fatti, cristallizzato le responsabilità di ciascun imputato, chiarendo alcune delle zone d’ombra che le difese, sostenute dagli avvocati Valentina Romagnoli, Olindo Dionisi e Barbara Vecchioli, avevano evidenziato tramite i propri consulenti e testimoni nel corso del dibattimento, poi è passato alle richieste di condanna con un’ampia premessa: «Quella che sto per pronunciare è una parola che non mi piace per niente, ma la legge Gozzini trasforma questa pena in una non più eterna. Bisogna che la pena tenda alla rieducazione del condannato. Non riscontrando attenuanti di sorta per nessuno dei tre imputati, nessuno ci ha aiutati né all’inizio, né durante, né alla fine, e capendo anche che qualcuno sia più o meno manipolabile, ma sono tutti capaci di capire quello che fanno, due sono adulti, uno lo è abbondantemente, pur avendo avuto una condotta processuale impeccabile ma inutile a scoprire come sono andate le cose, sono costretto a chiedere l’ergastolo per tutti e tre con isolamento diurno diverso in base ai reati contestati a ciascuno: per Arianna Orazi (figlia della vittima) 18 mesi, per il figlio Enea Simonetti 10 mesi e per il marito della vittima Enrico Orazi 6 mesi.

Il pubblico ministero Vincenzo Carusi

Partendo dal ricordare la causa della morte della 78enne montecassianese uccisa nel tardo pomeriggio della vigilia di Natale del 2020, una causa inequivocabile, «per asfissia acuta causata da attività di strozzamento», il pm ha ricostruito le singole responsabilità degli imputati. Per la Procura madre e figlio avrebbero premeditato il delitto, lo testimoniano il messaggio di Arianna ad Enea su Instagram in cui gli scrive di aver preparato un piano per poi chiedergli subito dopo su quel social network si potevano cancellare i messaggi e le intercettazioni del giorno dopo il delitto in cui si sente Arianna dire al figlio: «Ci siamo detti sempre fino alla morte», «Abbiamo sempre detto che l’anello debole era Enrichetto». Così il pm Carusi ha evidenziato: «Non avevamo telecamere all’interno della casa e gli imputati non hanno detto nulla. Possiamo ipotizzare che il piano ci fosse e che Simonetti l’abbia realizzato in un momento in cui nemmeno la mamma potesse immaginare prendendola alla sprovvista, ma questo non farebbe venir meno l’aggravante della premeditazione».

Per l’accusa a strozzare Rosina sarebbe stato Enea, sicuramente dopo le 16.51 perché a quell’ora parte una chiamata dal fisso a un’amica di Rosina, probabilmente prima delle 18 perché tra le 17 e prima delle 18 tre amiche di Rosina erano passate per farle gli auguri di Natale e nonostante le plurime chiamate né lei né i parenti si erano affacciati (per via dei lavori in corso non c’era il citofono). Fino a quell’ora tutti e tre gli imputati erano in casa. A inchiodare Enea sarebbero ancora le intercettazioni registrate la mattina del 25 dicembre, poche ore dopo il delitto. Quella notte Enea aveva in parte ritrattato smentendo mamma e nonno, dicendo che la storia del ladro non era vera e che c’era stato un litigio in casa. Quando la madre l’ha scoperto avrebbe cercato di convincerlo a ritrattare e per fare questo lo avrebbe incastrato: «Qua andiamo in galera», «Quando le fa l’autopsia e vede che è stata strozzata, chi l’ha strozzata, io?», «Adesso ritratti tutto», «Una volta che c’ha l’autopsia, che vedono che qualcuno l’ha strozzata, chi l’ha strozzata Enè? Uno che pesa 70 chili (il nonno)? Io? Enea, non dire mai quello che hai fatto, mai!», «Non dire che è stato un incidente, un incidente è se casca dalle scale, ma se la strozzi che incidente è?». Quella mattina anche Enea, parlando con la mamma, dice: «Ti rendi conto di quello che ho fatto?».

Anche sull’alibi Enea aveva cambiato più volte versione (prima era andato a vedere case in costruzione a Macerata, la vigilia di Natale, in pieno lockdown, in un periodo in cui non avrebbero potuto permettersi l’acquisto di una casa, poi aveva cercato uno spacciatore per poter dire che era rimasto fermo nel parcheggio del supermercato per assumere droga, poi che era andato a Macerata a vedere annunci di case in vendita). «Già il fatto che l’alibi sia stato modificato nel corso del tempo – ha continuato il pubblico ministero – la dice lunga sulla sua verosimiglianza».

Enrico ed Arianna Orazi

Sulla figlia della vittima, Arianna Orazi, il magistrato ha ritenuto che la donna «abbia contribuito alla fine della madre e l’abbia premeditata. Era un piano che prevedeva il sacrificio di Enrico». Così come sulle responsabilità dell’80enne Enrico il pubblico ministero non ha dubbi: «Era chiaro che lui era il soggetto sacrificabile, tanto che è stato il primo ad essere sacrificato. Non abbiamo prove del suo coinvolgimento anticipato, magari lo sapeva ma non abbiamo elementi per dirlo con certezza però possiamo dire molte altre cose: fu direttamente coinvolto in questa attività di sfinimento psicologico della vittima che per inciso era sua moglie, mettendoci del suo. Non fece nulla per evitare quello che è accaduto, ma ci mise del suo per rendere impossibile la vita della moglie. Lui non ci ha nemmeno aiutato a capire come erano andate le cose, non parla proprio. A parte quella notte per dirci che era entrato l’uomo nero dalla finestra, non ci ha mai detto nulla. Questo suo fare remissivo (ma non ha disdegnato attacchi frontali alla moglie) rispetto a quello che hanno fatto gli altri due ha costituito il semaforo verde».

Sul movente il pubblico ministero ha escluso che fosse economico, «non lo vedo verosimile – ha spiegato – vedo più verosimile quello che accadde da febbraio a dicembre 2020, a questo crescendo di soprusi si accompagna un crescendo di tentativi da parte della vittima di ribellarsi. Non è un processo né alle intenzioni né alla morale familiare, ci sono dati oggettivi: Rosina era passata da un certo tenore di vita a uno opposto, senza che lei fosse d’accordo la casa fu ribaltata come un calzino, soprattutto il giardino, le era stato impedito di usare la macchina, una volta il nipote le andò addosso con l’intenzione vera o apparente di colpirla, veniva offesa dal nipote, dei testimoni le avevano visto dei lividi. La Carsetti era orgogliosa, si mostrava combattiva anche se aveva paura. Il macellaio dice “la paura gliela si leggeva negli occhi”. Era una donna intellettualmente onesta, non negava dettagli a lei non favorevoli, alle amiche aveva detto che la figlia assisteva il padre molto più di lei, aveva confessato di aver dato uno schiaffo alla figlia e al marito, ma ammise di aver reagito».

Poi il pm si è rivolto direttamente alla Corte: «Immaginate questa situazione, provate a immedesimarvi nella Carsetti e come si possano vivere 10 mesi guardando cose, capendo dettagli, giungendo perfino a far arrivare una pattuglia dei carabinieri fuori casa, quello forse è stato l’errore fatale, probabilmente avrebbe dovuto formalizzare una denuncia. Fino all’ultimo quasi si vergognava di aver fatto arrivare la pattuglia davanti all’abitazione della famiglia di cui voleva salvare il buon nome. Abbiamo una vittima che non si arrende subito, ma basta per dire che era un soggetto non maltrattabile? No».

Il pubblico ministero ha poi concluso con le richieste di condanna: tre ergastoli per i reati contestati a vario titolo con 18 mesi di isolamento diurno per Arianna Orazi, 10 per Enea Simonetti e 6 per Enrico Orazi. È stata invece chiesta l’assoluzione per i reati di rapina, estorsione e concorso in furto (dei guanti).