ANCONA – Festival Corto Dorico: si parte il 3 dicembre. La kermesse, giunta alla sua 19esima edizione, fa il pieno di appuntamenti per coinvolgere la città di Ancona nel concorso nazionale dei cortometraggi. Diversi i protagonisti, ma solo alcuni sono marchigiani. Uno di loro Simone Massi.
Nato a Pergola (in provincia di Pesaro Urbino), è un ex-operaio, di origine contadina. Ha studiato Cinema di Animazione alla Scuola d’Arte di Urbino ed è un animatore indipendente. Da 20 anni cerca di far diventare la sua passione il disegno un mestiere. Nonostante le difficoltà ha ideato e realizzato (da solo e interamente a mano) una decina di piccoli film di animazione che sono stati mostrati in 62 Paesi dei 5 Continenti ed hanno raccolto oltre 200 premi.
Signor Massi, sabato 3 dicembre alla Mole, in occasione dell’apertura di Corto Dorico, verrà proiettato il suo corto dal titolo In quanto a noi. Com’è nato questo progetto e quanto tempo ha impiegato nel realizzarlo?
«Il progetto nasce sulla scia de L’infinito, il cortometraggio commissionato da Valerio Cuccaroni e dall’associazione Nie Wiem di Ancona. Ci siamo trovati bene, abbiamo deciso di continuare a lavorare insieme. Così è nato In quanto a noi, un’animazione costituita da 1200 disegni, che mi ha impegnato per oltre un anno.
Lei trasforma in cortometraggio la poesia Avevamo studiato per l’aldilà, di Eugenio Montale. Allora, le chiedo: lei crede all’aldilà? Seconda domanda: che rapporto ha con la morte: la teme?
«Credo nell’aldilà e, a quanto sembra, la morte è indispensabile per arrivarci. Ma parlare di morte proprio non mi va, mi pare che siano già in tanti a parlarne e a farcela vedere da tutte le angolazioni. È stata ficcata a forza nel quotidiano di tutti noi, l’abbiamo accettata, al punto che si pranza tranquillamente guardando lo spettacolo della morte (quella degli altri). Francamente, ne ho abbastanza».
Secondo lei, siamo davvero tutti già morti senza saperlo, come sembra rivelarci Montale?
«Sono domande da rivolgere a poeti e intellettuali, io sono un umile artigiano, la mano si muove bene quando il cervello non è carico di pensieri».
Montale nella poesia parla dei fischi. Ci sono dei suoni che nella vita le piace ascoltare o che hanno un significato particolare per lei?
«Certo che sì. Abito in campagna, sono abituato al canto degli uccelli e ai suoni della natura. Mi piacciono il fischio del merlo e quello del vento, lo scroscio della pioggia e il canto del grillo. Ma amo anche il silenzio, in particolare quello che accompagna la neve».
È la prima volta che partecipa a Corto Dorico?
«Ho già partecipato a Corto Dorico, vinsi il primo premio nel 2006 e nel 2012 mi dedicarono una personale. Mentre, nel 2013 realizzai il manifesto. Insomma, c’è un bel rapporto di stima reciproca».
Quale messaggio vuole trasmettere con questo corto e, in genere, con i suoi disegni?
«Quando realizzo un cortometraggio non penso mai al messaggio da trasmettere. Il mio lavoro ha a che fare con lo spirito e con l’emozione, non so spiegarlo o ridurlo a calcolo o ricetta. Il punto di partenza era la poesia di Montale ma c’era anche una storia – quella del nostro paese – che per me assomiglia a uno specchio e in cui non abbiamo mai avuto voglia di guardarci dentro. Questa era l’idea di base, poi i disegni hanno seguito la storia perché è la storia che chiama il disegno e mai il contrario. Io non ho nulla da insegnare, ma sono contento quando la persona che si siede a guardare i miei lavori accetta di lasciarsi portare».
Nella sua scheda informativa, lei dice di essere un ex operaio, di origine contadina: quanto ha influito quello che parrebbe essere un legame con la natura e con le radici della nostra esistenza sulla sua scelta di non avere un cellulare? Insomma, perché ha scelto di non averlo? Altra domanda: che lavoro fa, ora?
«È un discorso un po’ lungo. In generale, a me non va di essere intruppato o peggio ancora di essere schiavo delle mode e dei tempi. Ho una testa mia e mi piace poter decidere cosa fare e cosa no. I tempi, questi tempi, mi pare che vadano a un passo che non è umano o comunque non è il mio. Si brucia tutto alla velocità della luce e quello che è attuale o moderno oggi finisce con lo scadere l’indomani. Poi, le cose avvengono anche per caso: avevo un vecchio cellulare, mio figlio Achille ha tirato fuori la schedina e l’ha persa. Sono stato mesi senza telefono, ho smesso di essere un punto di ascolto h24 e ho recuperato parte del mio tempo. Poi, per esigenze lavorative, sono stato costretto a riattivare il telefono e l’ho fatto. Ma dopo poche settimane mio figlio ha ripetuto lo scherzetto e a quel punto mi sono fermato. I committenti sul momento hanno protestato, ma poi si sono abituati. Da mesi, lavoro al mio primo lungometraggio, è una vera e propria impresa che mi prende un numero spropositato di ore».
Come si vive senza cellulare? E quale consiglio dà per allontanarsi da questo strumento che a volte condiziona troppo le nostre vite?
«Ho la fortuna di poter lavorare a casa e ho tutta una serie di mezzi (mail, skype, messenger di facebook) per comunicare. Sono pure troppi a dire il vero, ma almeno quando sono all’aperto, fuori casa, sono libero da qualsiasi pensiero. Senza telefono, se vedo qualcosa che mi piace me lo godo con gli occhi e se qualcuno mi parla, lo ascolto. Robe antiche e fuori moda, me ne rendo conto».
Quale consiglio dà a chi, magari anche molto giovane, ha la passione per il disegno e teme di non riuscire a fare della sua passione un mestiere?
«Consigli non ne so dare. Posso solo dire che, per esperienza personale, non ci sono autobus da prendere al volo, non è obbligatorio riuscire a tutti i costi e, cosa più importante, tutto serve. A me piaceva disegnare ma tutto quello che avevo intorno mi diceva che non potevo essere altro che un operaio. Magari è anche andata così e operaio sono rimasto. Ma è innegabile che oggi sia anche un disegnatore».