Cultura

I salvatori dei quadri

Salvare un quadro è quasi come salvare una vita? Il dibattito è tanto vecchio quanto ancora appassionato. Noi siamo andati a trovare la restauratrice Maria Laura Passarini a Osimo tra le opere salvate dal sisma

La restauratrice Passarini accanto lla tela della battaglia tra ginesini e fermani strappata al sisma

OSIMO – Nel momento del bisogno primario, quando la priorità era salvare vite, la propria casa, i propri beni, la gente delle “zone rosse” ha pensato anche a salvare i “propri” quadri e le opere dalle chiese. Perché sono quei gioielli a costituire l’identità della comunità locale.

Chi c’è davvero dietro le bellezze salvate dal sisma a palazzo Campana di Osimo? Di certo un lavoro enorme portato avanti con grande energia e padronanza da professionisti del settore del restauro. Il percorso espositivo prevede anche una sezione attiva, “L’arte riparata”, in cui si può osservare il laboratorio di restauro dal vivo di alcune opere coordinato dalla restauratrice Maria Laura Passarini.

L’abbiamo incontrata davanti alla tela della battaglia tra ginesini e fermani rappresentata da Nicola da Siena, anche conosciuta come quadro di Sant’Andrea, custodita nella pinacoteca di San Ginesio prima di essere trasferita a Osimo. La maggior parte delle opere proviene da lì e da Loro Piceno.

Gli occhi le brillano di passione quando ci racconta come ha riportato alla vita quell’opera e tante altre ancora, magnifiche, luminose e piene di vita nelle stanze del palazzo. «Parto da qui perché questo quadro è un simbolo per la popolazione di San Ginesio. Quando è arrivato presentava pericolosi sollevamenti di colore. Sulla tela al momento del salvataggio avevano posto varie veline per segnalare le parti rovinate. Erano dappertutto. Su molte opere come questa abbiamo svolto un lavoro di pronto intervento consolidando la parte di colore distaccata, stuccato e riverniciato il tutto. Molti quadri avevano assorbito acqua, in uno addirittura c’erano rigagnoli che colavano sulla tela».

Si emoziona Passarini pensando a come quelle opere sono state salvate, quasi come un paziente curato sul lettino dal medico che fa di tutto per riportarlo in vita. «Dobbiamo immaginare le condizioni in cui hanno lavorato i vigili del fuoco e altri che hanno sottratto le opere dalle chiese semicrollate. I quadri sono stati posti per terra, tra la neve per l’apposizione delle veline».

Non è solo l’acqua ad aver rappresentato un grave pericolo, alcune tele erano soggette a pesanti attacchi funginei: «Per quelli abbiamo proceduto alla disinfestazione. Un esempio? La “Madonna del Divino amore” di Raffaello Sanzio».

Difficilmente spiegabile la minuziosità dell’intervento: per alcune in particolare il team di restauratori è intervenuto “armato” di siringa che, goccia a goccia, ha rimpolpato le parti disgregate. «Per noi è stato un crescendo: abbiamo visto arrivare continuamente le opere imballate e ogni volta ci chiedevamo: saranno le ultime? Nel susseguirsi continuo ci siamo accorti che parlavamo di “loro” come se fossero persone viventi e come se noi fossimo parte dell’opera. Non è forse questo essere un restauratore? Emotivamente sono stati e sono tuttora momenti forti, non capita tanto di frequente operare su quadri in emergenza e in tempi così stretti. Potrebbero esserci altre sorprese: noi siamo qui nel laboratorio interno al palazzo in trepidante attesa».