JESI – Elegante e leggero, stratificato e gustoso. È orecchiabile e coinvolgente, ma allo stesso tempo complesso e saturo di tecnica, l’ultimo lavoro di Stefano Coppari, talentuoso chitarrista fra i più stimati della scena jazz italiana. Si chiama “Eureka”, proprio ad indicare l’inaspettata ispirazione che ha plasmato questo suo lavoro. Pescarese di nascita ma jesino d’adozione, il 33enne Coppari, che coltiva la sua passione artistica dall’età di 11 anni, vanta una laurea al Conservatorio Rossini di Pesaro in “Jazz”, sotto la guida del maestro Bruno Tommaso, una miriade di collaborazioni con artisti internazionali, e dirige la scuola di musica Opus 1 di Castelbellino, da lui stesso fondata.
Coppari, ci parli di questo suo terzo album, “Eureka”..
«Il nome è legato al fatto che i brani mi son venuti tutti di getto dopo un viaggio in Croazia e Bosnia, molto stimolante dal punto di vista culturale e umano. Avevo ben chiaro che tipo di musicisti volevo coinvolgere, alcuni già li conoscevo per via di vecchie collaborazioni. La rivelazione è stata Claudio Filippini, pianista del quartetto. Non lo conoscevo e appena l’ho ascoltato ne sono rimasto folgorato. Contentissimo che abbia accettato».
Come è cambiato il jazz negli anni?
«Innanzitutto da musica da ballo si è trasformato in musica da ascolto, poi negli anni è stato continuamente contaminato da altri generi e linguaggi. Diciamo che il jazz ha nel suo dna la contaminazione, è un genere in continuo cambiamento. Sicuramente l’avvento del rock ha contribuito a modificare molto il linguaggio jazzistico, dal punto di vista tecnico ma anche nel pensiero, dando a mio avviso sempre più attenzione all’aspetto compositivo. All’inizio le composizioni, i brani cosiddetti standard, erano più che altro delle progressioni o delle melodie su cui poi improvvisare. Oggi il jazzista è un compositore, scrive musica molto articolata. In alcuni casi anche troppo, facendo perdere il filo persino ad ascoltatori esperti. Io invece cerco di dare sempre la precedenza all’uso di melodie semplici e cantabili per comporre, mi piace l’idea che l’ascoltatore possa ricordarsele»
Stiamo assistendo a una rinascita di questo genere?
«Più che altro è moda, a mio parere. Ormai dietro la parola jazz ci sono artisti che non hanno nulla a che fare con questo linguaggio. Il jazz vero, quelli dei musicisti che sperimentano, che scrivono musiche originali, è ancora un mondo poco conosciuto, poco aiutato e poco interessante per il grande pubblico, che invece cerca spesso il grande nome, a prescindere dalla qualità della sua musica».
Apprezza qualche musicista in particolare?
«Ascolto di tutto, senza limiti. Dai Radiohead a Monk, da Shorter a Lucio Dalla, quindi direi che la mia musica di riferimento è tutto ciò che mi emoziona. E ne è pieno il mondo».
Con l’avvento del web, e dei social in particolare, è mutata la fruizione della musica?
«Per l’artista è molto più semplice farsi conoscere e per il fruitore conoscere. Oggi, con tutti i mezzi che abbiamo, dovrebbe essere considerato illegale non conoscere certi musicisti. Abbiamo davvero tutto a portata di mano».
Dove possiamo ascoltarla dal vivo?
«Sono già in giro per la promozione di Eureka e con diversi altri progetti. Per le date aggiornate suggerisco di seguire la mia pagina Facebook».