JESI – «Se non sai da dove vieni non saprai dove andare». È all’insegna di questo messaggio che questa mattina 10 dicembre il signor Antonio Chiodi, accompagnato dalla signora Teresa, ha ufficialmente fatto dono al Teatro Pergolesi di Jesi, e alla Fondazione Pergolesi Spontini che ne è il gestore, della collezione degli antichi attrezzi di lavoro di suo nonno, Aristodemo Chiodi. Quest’ultimo, vissuto tra il 1867e il 1961, detto “Chiodetto”, del Pergolesi fu capo macchinista per decenni, tra la fine dell‘800 e la prima metà del ‘900. Ed è una vera e propria trasmissione di un sapere artigiano antico all’oggi, quella che con la donazione si è concretizzata questa mattina, proprio mentre al Pergolesi iniziava l’allestimento de “La Traviata” di Giuseppe Verdi, opera che concluderà la settimana prossima il programma della 57esima Stagione Lirica di Tradizione della città.
Non per caso a ricevere gli attrezzi c’era, insieme all’assessore alla cultura Luca Brecciaroli e al direttore generale della Fondazione Lucia Chiatti, il direttore della produzione Paolo Appignanesi, a rappresentare gli “eredi” tra le mura del Pergolesi del lavoro del “Chiodetto”. Tanto che il nipote Antonio, a sua volta appassionato d’opera e estroso inventore, ha voluto, nel donare gli attrezzi al Pergolesi, che questi stessi siano esposti all’interno del Teatro e in particolare siano visibili alle maestranze tecniche.
Fu una lunga carriera quella di Aristodemo Chiodi. Falegname stimato ed esperto costruttore, fu punto di riferimento al “Massimo” jesino ai tempi in cui il Condominio, gestito da privati, ospitava e produceva pubblico spettacolo e opera lirica. Chiodetto fu anche impegnato in trasferte fuori città, come nei teatri di Fabriano, Senigallia e Camerino. Di lui scrisse “Duilio”, alias Duilio Diotallevi, tipografo, poeta dialettale e caricaturista jesino, con un omaggio sulla copertina del periodico satirico in vernacolo jesino “Il Pupazzetto”, pubblicato il 9 gennaio 1926, quando appunto il “Chiodetto” era in piena attività.
Nei racconti di Antonio sullo storico capo macchinista, gli aneddoti di un’epoca in cui il teatro musicale non era ritenuto un prodotto di élite, ma forma di spettacolo amato da tutti, e quindi autenticamente “popolare”. Come quando «Beniamino Gigli, uscito dal Pergolesi a fine spettacolo e trovata la piazza piena ad attenderlo, si fece accompagnare da mio nonno, seguito dalla gente, fino al cortile dell’Appannaggio, dove proseguì a cantare davanti a tutti».
«A distanza di un secolo, e più, il mestiere del macchinista teatrale è cambiato nelle tecnologie impiegate ma non nel ruolo, fondamentale per il buon funzionamento di uno spettacolo dal vivo – spiega la Fondazione – il suo lavoro consiste nel costruire, montare, smontare, muovere elementi scenografici; questo professionista si occupa della gestione delle scenografie e dei movimenti delle scene durante le rappresentazioni teatrali, lavorando a stretto contatto con il regista, lo scenografo e gli attori. Si tratta di un profilo tecnico molto specializzato, che ha contribuito e ancora oggi contribuisce in maniera importante allo sviluppo, e alla fortuna, della civiltà musicale nelle Marche, regione in cui i Teatri storici sono candidati a patrimonio Unesco. Un mestiere, dunque, di alto artigianato, di cui la Fondazione Pergolesi Spontini continua la tradizione, nei teatri gestiti, e nel proprio Laboratorio Scenografico all’interno del quale sono realizzati gran parte degli allestimenti della Stagione Lirica del “Pergolesi”. Sono allestimenti, quelli costruiti a Jesi, spesso coprodotti con altri teatri e che dunque viaggiano anche su altri palcoscenici, Italiani ed esteri, insieme alle maestranze tecniche della Fondazione. In questi giorni, ad esempio, mentre al Teatro Pergolesi andavano in scena “I Quadri parlanti” di Gaspare Spontini, hanno debuttato “La Vestale” di Spontini alla Fondazione Teatri Piacenza (22 novembre), “Così fan tutte” di Mozart al Teatro Pavarotti-Freni Modena (29 novembre) e “La traviata” di Verdi alla Fondazione Teatro di Pisa (6 dicembre)».