MACERATA – Una lingua nasce, cambia, si rinnova. Motori indiscussi di questa evoluzione sono i neologismi inventati dai giovani o portati nel linguaggio comune dai grandi cambiamenti, come quello innescato da Internet. Dopo la creazione, arriva la diffusione: da lì la parola gergale diventa piano piano di uso comune e non solo ad appannaggio dei più giovani. Per cercare di fare luce sui cambiamenti in atto, sullo slang giovanile e sull’impatto dei social network in questo processo evolutivo abbiamo intervistato la professoressa di Glottologia e Linguistica al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, Francesca Chiusaroli.
Professoressa Chiusaroli, qual è la situazione attuale del linguaggio giovanile? Come sta cambiando la comunicazione?
«Tutto quello che riguarda le novità nel panorama del linguaggio giovanile è concentrato sull’uso dei social network, instagram e Tik Tok su tutte, che, essendo internazionale, determinano l’ingresso di termini che sono importati, o meglio imitati dall’anglo-americano per poi essere italianizzati nella grammatica e nella pronuncia. Per farle capire che ruolo fondamentale ha ad esempio Tik Tok nel linguaggio giovanile, basti vedere come, durante l’ultima campagna elettorale, perfino politici attempati hanno deciso di utilizzarla per raggiungere in maniera più diretta ed efficace un numero ingente di giovani. Oppure un grosso acceleratore a questi cambiamenti è sicuramente l’uso massiccio tra i giovani dei messaggi vocali».
Come influisce l’uso massiccio di messaggi vocali a discapito di quelli scritti?
«Qualche tempo fa si diceva che la lingua italiana veniva rovinata dalle abbreviazioni dei messaggi, adesso invece dal parlato, che da sempre è la dimensione del linguaggio meno controllata e controllabile, dove in effetti negli ultimi anni è emerso un gergo nuovo: cringe, shippare… si tratta comunque di un nuovo parlato informale che viene adoperato in precise circostanze, in quello che potremmo definire ‘linguaggio tra pari’ e che denota solo specifiche iterazioni sociali».
Quali sono le finalità del gergo giovanile?
«Le generazioni giovani cercano una loro identità e la trovano attraverso fenomeni di omologazione: così, come si indossa un certo tipo di scarpe, allo stesso modo si adotta uno stile linguistico ed un lessico che è riconoscibile all’interno dei pari. Si tratta di un fenomeno che appartiene più alla sfera psicologica o sociologica che a quella linguistica. È chiaro comunque che l’unirsi e parlare nello stesso modo ha lo scopo di creare un’identità di gruppo forte e condivisa, un’omologazione che ha una valenza sociale importante nello sviluppo dell’identità del singolo. Tra l’altro si tratta di un fenomeno che dura per un periodo determinato e che è dettato dalla generazione in questione: generalmente, una volta finito il periodo giovanile si torna a condividere un gergo più standardizzato che fa parte del mondo adulto. Ne sono un esempio le abbreviazioni: dopo un periodo in cui sono state abusate, oggi di fatto sono passate in disuso. Anche in quel caso i linguaggi generazionali sono ben spiegati dai social: le persone adulte sono ancora oggi su facebook, i giovanissimi no, si muovono in altre piattaforme in cui si riconoscono maggiormente. C’è da dire che l’evoluzione linguistica, il cambiamento, passa da sempre attraverso i giovani: parole gergali diventano più di uso comune. Gli adulti o si adeguano o si estinguono con le vecchie modalità comunicative. Io da linguista non tendo a giudicare negativamente queste dinamiche, ma semplicemente a descriverle».
Si ricorre sempre più agli anglicismi, con quali conseguenze?
«Siamo in un fase di cambiamento anche se c’è da dire che da sempre le lingue sono soggette ai flussi esterni. C’è stato un tempo in cui il latino permeava tutta l’Europa, poi è stata la volta del francese, oggi, dopo la seconda guerra mondiale e dopo l’avvento di internet, l’inglese è divenuto la lingua veicolare. C’è da dire che la lingua, che possiamo definire di arrivo, non viene intaccata da quello che viene da fuori: anche se delle parole entrano nell’uso comune, la grammatica, la sintassi, le strutture sono molto più coriacee e difficili da scardinare. E’ sbagliato dire che una lingua per essere fedele a se stessa non deve cambiare mai: l’italiano deve aprirsi all’esterno; le forme di contatto, reale, virtuale o commerciale che siano, sono forme che cambiano la società e la lingua è lo specchio della società e quindi in quanto tale ben vengano i cambiamenti».