Anticipato dal singolo e videoclip di Primavera a Lesbo, è uscito il 9 aprile il nuovo album di Marco Sonaglia, dal titolo Ballate dalla grande recessione, disponibile su tutte le piattaforme digitali e in formato Cd. IL disco è pubblicato da Vrec / Audioglobe distribuzione, etichetta da sempre attenta al miglior cantautorato e rock d’autore italiano.
Il cantautore marchigiano originario di Fabriano, ma residente a Recanati da dieci anni, dove insegna presso la locale Accademia dei cantautori, torna al suo pubblico con un terzo disco solista di dieci brani inediti, su testi di Salvo Lo Galbo, giornalista, poeta, traduttore siciliano. I due artisti si sono conosciuti nel 2019, scoprendo di condividere la stessa militanza e la passione per la musica d’autore. Dalla affinità, è nato un sodalizio che sposa la forma della ballata francese, resa leggendaria da François Villon, agli argomenti politico-civili, al lamento di un’umanità dannata tra i miasmi di un medioevo industrializzato. Questo dolente “ragionar per versi” si innesta su una interpretazione capace di riaffermarne l’antico legame tra poesia e musica.
Composte durante il primo lockdown 2020, le dieci canzoni nascono e si presentano come “canzoni emergenziali” nate nell’ambito di quella che l’autore definisce «la più grande crisi recessiva dalla seconda guerra». Il cd inizia con Primavera a Lesbo, la storia di una bambina di sei anni, arsa viva in un incendio scoppiato presso le cucine di fortuna allestite al campo profughi di Moria e l’agonia di un’umanità che, con gli occhi a Ovest, implora asilo. Seguono in tracklist la Ballata per Cuba, Ballata per Stefano, Ballata per Claudio, Ballata della vecchia antropofaga, Ballata a una ballerina, Ballata dello zero, Ballata per Sacko, Ballata dell’articolo 18, e, in chiusura, il brano La mia classe.
Voce, chitarre, armonica sono di Marco Sonaglia, le tastiere ed elettronica di Paolo Bragaglia, violoncello Julius Cupo. Il disco è stato registrato e mixato da Paolo Bragaglia presso il Klangsturm studio di Montefano, produzione artistica di Paolo Bragaglia, arrangiamenti di Marco Sonaglia. Progetto e copertina a cura di Tommaso Pigliapoco.
Marco Sonaglia è nato a Fabriano nel 1981. Oltre ad avere una decennale esperienza come insegnante di educazione musicale, è un cantautore con all’attivo due dischi da solista Il pittore è l’unico che sceglie i suoi colori (2012) e Il vizio di vivere (2015) e due dischi con il gruppo dei Sambene Sentieri partigiani, tra Marche e memoria (2018) e I Sambene cantano De Andrè (2019). Autore anche di un cd di musiche per l’infanzia intitolato I galletti bulletti (2017). Ad inizio della sua carriera musicale, ha avuto l’occasione di aprire i concerti di alcuni nomi importanti come Claudio Lolli, Massimo Bubola e Modena City Ramblers. Svolge un’intensa attività live in regione e in tutta Italia.
A lui chiedo… Quali temi, quali emergenze, quali sentimenti hai sentito più urgenti per questo tuo nuovo disco solista?
«Ho sentito Ballate dalla grande recessione come un disco necessario in tempi, come questi, di nuova grande recessione. Come ho fatto spesso nei lavori passati, ma soprattutto in questo caso, esce una certa rabbia nel trattare temi sociali importanti. Nel disco si passa dal tema dell’emigrazione, agli abusi di violenza da parte dello Stato, alla resistenza ai tempi dell’Olocausto, al tema del lavoro attualissimo, fino alla crisi identitaria di una certa sinistra. Sono temi abbastanza cari alla mia personalità, e li ho trattati insieme al dal paroliere Salvo Lo Galbo; lui ha scritto i testi delle canzoni, io mi sono occupato delle musiche e dell’interpretazione cercando di creare una certa suggestione musicale. E’ un disco difficile, impegnativo per le tematiche trattate, ma spero che dopo ascolto rimanga un messaggio, qualcosa che faccia pensare. Perché per me il fatto musicale non è solo musica, è anche poesia e riflessione».
Come è la vita di un giovane artista di epoca Covid? Il disagio, economico e sociale, riguarda per tutte le categorie, ma particolarmente quelle che si nutrono di arte… Intendo ‘nutrirsi’ nel doppio senso, gli artisti nutrono la propria anima e quella del loro pubblico, ma vivono anche di questo mestiere. Teatri chiusi, sale da concerto sbarrate, anche le scuole di musica operano a fatica… Come si può lavorare in questo periodo?
«Essere un artista è sempre difficile, chi vive di musica e di arte è sempre sulla barricata. Il nostro è un mestiere bellissimo, fai quello che veramente ti piace e senti dentro, ma è un lavoro impegnativo, bisogna sempre essere sul pezzo, svegli e attenti. Il Covid ha penalizzato prima di tutto l’arte, forse perché l’arte fa un po’ paura al “potere” e così ogni luogo che produce cultura è stato chiuso come fosse qualcosa di pericoloso. Le persone che vivono di spettacolo soffrono molto, sono mesi che non facciamo live, l’ultimo concerto che ho fatto è stato a settembre, questa estate sono riuscito a fare qualche data. I mezzi digitali e lo streaming in qualche modo si sono rivelati utili in lock-down, mi sono adattato ma non è la stessa cosa. Anche la didattica ha subito delle conseguenze, finché è stato possibile si sono fatte lezioni in presenza con gli allievi, e poi non è stato possibile e siamo andati verso l’on line. Il settore dei concerti è quello che ne ha risentito di più della crisi: un artista vive soprattutto del proprio pubblico e ha bisogno di condividere idee ed emozioni con gli spettatori. Spero che si trovi a breve una soluzione, c’è bisogno di tornare a cantare e condividere esperienze».