MONSANO – Con i suoi schiamazzi e la sua allegria a Monsano torna lo Scacciamarzo, alla sua 32^ edizione. Sabato 30 marzo dalle ore 10.30 alle ore 12, i bambini sono invitati a riportare, casa per casa, alla maniera di una volta, questo nostro arcaico, festoso e rumoroso rito infantile di questua.
Partecipano gli scolari della Scuola Primaria di Monsano e due sezioni della Scuola Primaria “Collodi” di Jesi: più di duecento bambini in festa. Nella mattinata animeranno il centro storico di Monsano chiedendo, in cambio dell’esecuzione dello “Scacciamarzo”, piccole offerte di denaro, di dolciumi e soprattutto di uova, con le quali verranno fatte delle enormi frittate, che poi saranno offerte a tutti i bambini e i presenti, in una merenda comunitaria.
L’iniziativa è a cura del Centro Tradizioni Popolari, il Comune di Monsano, in collaborazione con La Macina, la locale Sezione dell’Avis, il Gruppo Protezione Civile e con il patrocinio della Regione Marche e della Provincia di Ancona.
Lo Scacciamarzo è un antichissimo canto rituale di questua infantile, di cui nell’anconetano s’è persa traccia e memoria.
Nel 1979 a Corridonia, nel maceratese, dove è stato raccolto, il rito del “caccià marzu” (stando al racconto dell’anziano informatore, Nazzareno Pesallaccia, detto Mengrè, contadino), veniva effettuato, sino ai primi anni del secolo scorso, da gruppi di bambini, l’ultimo giorno di marzo, con accompagnamento assordante di barattoli, campanacci e della sgràciola (rudimentale raganella dal suono simile appunto allo strumento usato nella liturgia quaresimale in sostituzione delle campane “legate”), costruita con delle semplici canne.
Cortei di bambini percorrevano le vie del paese e, bussando di casa in casa, portavano il canto augurale dello Scacciamarzo, per ricevere in cambio doni, ma soprattutto “l’ovo pe’ la ciambella” (tipico dolce marchigiano a base di uova, farina e zucchero).
Se però il dono non veniva o tardava a venire, i bambini intonavano verso i padroni di casa (la vergara ed il vergaro) una sequela di maledizioni (in perfetta sintonia, del resto, con gli immancabili saltarelli finali e rafforzativi di richiesta doni dei canti rituali di questua dei grandi. Un esempio per tutti: “e dopo aver cantado / non ci avede dado niente / guarda che bbella gente / che Cristo fa campà“. Il testo di questo raro e prezioso documento ci è stato tramandato in una versione assai complicata e contaminata con la più nota e diffusa Pasquella dell’Epifania dei grandi.
Il canto ha un’origine magico-pagana e una inequivocabile funzione esorcizzante: quella di scacciare il “male” (l’inverno) e salutare e propiziare il “bene” (la nuova stagione, il sole, la primavera risorgente).