Cultura

«Oggi come ieri l’Iliade ci racconta il mondo attuale». Intervista ad Alessio Boni a Civitanova e Senigallia con “Il gioco degli Dei”

La pièce sul palco del Teatro Rossini e al Teatro la Fenice nelle serate del 20 e 21 febbraio

Alessio Boni e Iaia Forte in “Iliade. Il gioco degli Dei” (Foto Luciano Rossetti)
Alessio Boni e Iaia Forte in “Iliade. Il gioco degli Dei” (Foto Luciano Rossetti)

SENIGALLIA – Quando un grande classico diventa cartina tornasole dei tempi odierni. Questo e tanto altro è “Iliade. Il gioco degli Dei”, spettacolo promosso dai Comuni di Civitanova Marche e Senigallia con AMAT (e in collaborazione con Azienda Teatri per Civitanova e Compagnia della Rancia a Senigallia) e il contributo di MiC e Regione Marche e che nelle serate del 20 e 21 febbraio arriva sul palco del Teatro Rossini e al Teatro la Fenice. La pièce riscrive e mette in scena l’“Iliade” per specchiarsi nei miti più antichi della poesia occidentale e nella guerra di tutte le guerre e racconta di un mondo in cui l’etica del successo non lascia spazio alla giustizia e gli uomini non decidono nulla, ma sono mossi dagli dèi in una lunga e terribile guerra senza vincitori né vinti. La coscienza e la scelta non sono ancora cose che riguardano gli umani: la civiltà dovrà attendere l’età della Tragedia per conoscere la responsabilità personale e tutto il peso della libertà da quegli dèi che sono causa di tutto ma non hanno colpa di nulla.

A raccontarcelo è Alessio Boni, protagonista ed autore della pièce, nonché uno degli attori attuali più versatili e acclamati del panorama nazionale odierno.

Quale è la genesi di questo spettacolo che affonda le sue radici in un monolitico classico come l’Iliade?
«È un’idea nata quattro anni fa, prima ancora della pandemia. Stavamo finendo la tournée del Don Chisciotte. Io, Roberto Aldorasi, Francesco Niccolini e Marcello Prayer, abbiamo iniziato a riflettere su questo gande capolavoro perché percepivamo nell’aria un’elettricità strana; questo occidente che tanto decantiamo, all’insegna del benessere e dei privilegi, iniziava un declino macabro, una lenta ma inesorabile deriva violenta…bastava un niente perché tra le persone si innescasse una rabbia ed una ferocia che poi finivano nelle cronache nere. Bastava una scintilla perché il fuoco della rabbia divampasse e bruciasse il velo di apparente civiltà con cui oggi sforziamo di identificarci: questa forza animalesca, questa attrazione nei confronti della ferocia che abbiamo dentro, arriva direttamente da 4000 anni fa, dove per conquistarsi qualsiasi cosa si metteva mano alla spada, alla lancia e allo scudo. Questo era l’unico modo con il quale si scriveva la storia, si determinavano confini e territori e soprattutto si scriveva l’identità della società. Da qui la nostra riflessione: ci siamo interrogati sull’uomo, sulla sua identità che non è una dote ma è una cosa che si acquisisce pian piano con la società, con gli altri e ci siamo accorti quanto questo classico fosse attuale; in mezzo ad un peste, si iniziava una guerra, gli uomini facevano tutto quello che questi Dei gli dicevano di fare: se sposarsi, se andare in guerra… ogni cosa; oggi siamo usciti da un lockdown, e siamo entrati in nuove guerre e anche oggi c’è chi dall’alto tira le fila e dice agli uomini cosa deve fare; praticamente tutto uguale a 3500 anni fa…solo che una volta ci si affrontava apertamente con un gladio e uno scudo, oggi lo si fa in maniera tecnologica, qualcuno direbbe intelligente, a distanza, magari sganciando bombe comodamente seduti davanti ad un monitor di un computer. Sono passati 4 anni da quella intuizione e vediamo come il testo sia, giorno dopo giorno, sempre più attuale. La frase fatta che ‘I classici sono sempre moderni’ è molto più vera di quello che si possa credere: abbiamo letto e sviscerato l’Iliade in ogni versione negli ultimi anni e ti assicuro che molti versi sono più attuali degli stessi articoli di cronaca letti sui quotidiani che sembrano al confronto molto più obsoleti».

Nell’Iliade sono divinità capricciose a decidere spesso le sorti dell’uomo e sancirne la sua rovina. Quali sono le divinità odierne?
«È evidente che il gioco degli Dei è passato di mano: oggi sono i capi di Stato, gli oligarchi ed i potenti a decidere le sorti dell’uomo comune, a mandarlo in guerra, a decretare la sua ascesa o più spesso il suo declino. Non è un caso che sul palco ci siamo presi almeno la rivincita di ridicolizzarli un po’.  Gli Dei che portiamo sul palco sono invecchiati, sono in declino, sono macchiette, ombre lontane di un lontano splendore: Zeus ha una punta di Alzheimer e non si ricorda nemmeno perché ha indetto la riunione, Ares sembra un reduce del Vietnam con tutti i segni psicofisici di chi ha vissuto la guerra, Era è compulsiva aggressiva, Afrodite una sensualona superficiale che vuole solo sedurre il mondo. I nomi delle divinità odierne? Sono quelli che fanno capolino tutti i giorni sui giornali: Biden, Trump, Putin…».

Corsi e ricorsi storici, o ancora meglio, l’eterno ritorno dell’uguale: qual è il ruolo dell’arte e del teatro in particolare per cercare di rompere questo circolo vizioso apparentemente senza fine?
«Tutte le forme d’arte, anche la pittura, la scultura la fotografia, cercano di rompere quella campana di vetro in cui è stato messo l’uomo, cercano di far inceppare quell’immensa ruota da criceto su cui corre l’umanità ignara spesso di quanto stia accadendo o comunque distratta. Ecco, spesso gli Dei fanno di noi quello che vogliono perché non riusciamo a pensare come uomini e come donne e accampiamo scuse se tutto va allo sfacelo… ecco allora nuove guerre Sante, guerre di confine, guerre di difesa… ci dimentichiamo che dall’altra parte della barricata non c’è un nemico, ma un uomo, una persona che è stata anch’essa bambina, che ha sogni, speranze. Manca la volontà di pensiero, se vogliamo interrompere questo circolo ci dobbiamo riappropriare di questo e l’arte può e deve essere una sveglia per la coscienza collettiva».