JESI – Prima o poi la carta stampata cesserà di esistere. O forse no. Mario Avaltroni, gestore della centralissima edicola di piazza della Repubblica, è senza dubbio fra coloro che auspicano una rinascita dell’editoria tradizionale, quella che sa di cellulosa e inchiostro. Dall’agosto del 1995, scruta la città, cogliendone vizi e virtù, dal suo osservatorio privilegiato, a pochi metri dal teatro Pergolesi. «Quando ho iniziato a lavorare – ricorda Avaltroni – il centro storico era pieno di professionisti, avvocati, assicuratori, commercialisti. Era davvero il fulcro economico del territorio e si vendevano di conseguenza vagonate di quotidiani, che già iniziavano ad allegare dvd, videocassette, cd, etc. La situazione è rimasta analoga con l’entrata in vigore dell’Euro, era un buon periodo per noi edicolanti».
Poi, però, è arrivata la crisi..
«Purtroppo sì. Tutto si è come fermato, il centro ha perso gradualmente la sua centralità economica, i professionisti hanno iniziato a spostarsi in periferia. Sono così rallentate le vendite dei quotidiani, costringendoci a rivedere le nostre strategie. L’avvento di internet ha rivoluzionato tutto».
Ovvero?
«Oggi siamo sommersi di notizie minuto per minuto, condizione che non sempre equivale a una maggiore informazione. I giornali, ad ogni modo, vengono acquistati solo da coloro che intendono approfondire un determinato argomento o da chi ha poca confidenza con la tecnologia. Internet, tuttavia, ha anche agevolato il nostro lavoro e ci ha permesso di rinnovarci, di intercettare nuove opportunità. La mia edicola si è trasformata in un vero e proprio centro servizi. Biglietti, abbonamenti e ricariche hanno compensato la diminuzione di vendite della carta stampata, che resta comunque la principale fonte di introito».
Internet ha dunque cambiato il modo di leggere, ma anche quello di vivere..
«È così. Internet di massa ha sconvolto le abitudini quotidiane. Le nuove generazioni, in particolare, vivono ormai perennemente connessi. Leggere libri e giornali, escluso chi e abituato a trovarli in casa, non fa più parte della vita quotidiana. La scuola stessa non punta più sulla lettura. C’è uno splendido progetto, chiamato “Il Quotidiano in Classe”, che permette alle scuole di usufruire gratuitamente di quotidiani. Ebbene, in pochi ne hanno colto le finalità e fanno tesoro di questa possibilità discutendo gli articoli con gli alunni. La maggior parte degli istituti lascia i giornali in uno spigolo dell’aula-insegnanti, senza nemmeno utilizzarli. Anche i quotidiani e periodici sportivi, che un tempo erano appannaggio dei più giovani, hanno perso copie».
Sarà così anche in futuro? Tradotto: la carta stampata è davvero destinata a morire?
«Personalmente credo che la carta stampata possa avere un futuro. Sicuramente non torneremo alle vendite di una volta. È difficile anche dire cosa si può fare per rilanciarla, considerati i profondi cambiamenti nella fruizione dell’informazione. Sono però convinto che ci sarà sempre una parte di popolazione appassionata e legata all’inconfondibile odore della carta, al colore dell’inchiostro sulle mani. Fiorello, nella sua Edicola televisiva, segnala inoltre che con la carta dei giornali si possono fare tantissime cose. Ma solo dopo averli letti».
E le edicole reggeranno l’urto del web?
«Per deformazione professionale devo essere ottimista. Le edicole sono un patrimonio delle città. Esse fungono da ufficio informazioni, da sportello turistico. Sono un punto di riferimento per chi visita il territorio. I turisti mi chiedono dove possono andare a mangiare, a dormire, dove possono comprare del buon vino o altri prodotti locali. E rispondo con molto piacere, pur non avendo alcun rientro economico. Ecco, si potrebbero affidare alle edicole dei servizi comunali».
Qualche aneddoto da raccontare?
«Tantissimi, non saprei da dove iniziare. Ho conosciuto attori e sportivi famosissimi, addirittura un premio Nobel. Ma non è questa la cosa più bella..»
E qual è?
«Negli ultimi tempi sono svariati i ragazzini, figli di persone provenienti da altre nazioni, che frequentano l’edicola. Spesso sono nati nella nostra città e, a torto, li chiamiamo extracomunitari. Essi mi ricordano la mia infanzia, le mie origini, quando potersi permettere una figurina, o una rivista, spendendo poche lire, era motivo di grande soddisfazione e orgoglio. Gli indigeni invece, vale a dire i nostri ragazzi, quelli del luogo, avendo già tutto non apprezzano più nulla».