JESI – Un coniglio rosso appare sul sentiero innevato, tra i passi di un omino che se ne va da una storia d’amore ormai conclusa. Lo segue con lo sguardo una donna, da dietro le imposte della sua piccola stanza. Anche lei si allontana, chiusa nella sua casa con le ruote, ma quel coniglio sul sentiero indica che l’amore, anche se muore, è una forza positiva, un processo di crescita e di consapevolezza che cambia l’esistenza di chi lo ha vissuto con intensità. Parte così, inseguendo il coniglio rosso (e non bianco) come in una sorta di “Alice in wonderland” di Lewis Carroll, la storia di “Per tutta la vita”, ultimo cortometraggio dell’artista jesino Roberto Catani. Un viaggio a ritroso nell’evoluzione di un sentimento, dall’inverno dell’addio tra adulti alla primavera di un amore adolescenziale appena sbocciato, ed insieme una storia bellissima, delicata e poetica, che ha meritatamente raccolto il plauso degli spettatori e della critica specializzata.
Uscito nell’ottobre 2018 dopo due anni di lavorazione ed oltre 1400 disegni realizzati a mano con tecnica mista, “Per tutta la vita” è una produzione italo-francese di Davide Ferazza per Withstand Film e Miyu Distribution, con il sostegno di Mibact, Regione Marche, ARTE France e CNC Fonds de soutien audiovisual, con musiche di Andrea Martignoni. Il cortometraggio è stato selezionato in competizione ufficiale in tutti i più importanti festivals internazionali del Cinema d’Animazione e del Cortometraggio, ed ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi, tra cui il gran premio della giuria ai “Sommet du cinema d’animation” (Montreal 2018), una menzione speciale ad Animateka (Lubiana 2018), la shortlist Davide di Donatello (Roma 2019), ed una menzione speciale a Sorsi Corti (Palermo 2019).
Roberto Catani (1965), di Jesi, è un maestro del cinema di animazione ed un illustratore noto a livello internazionale, oltre che docente di laboratorio presso la sezione di multimedia del Liceo Artistico “Mengaroni” di Pesaro, e fino al 2016 docente di “Arte del disegno animato” alla Scuola del Libro d’Urbino dove si è diplomato nel 1986. I suoi film d’animazione “Il pesce rosso” (1995), “La sagra” (1998) , “La funambola” (2002), “Tevereterno” (2006), “La testa tra le nuvole” (2013), e “Per tutta la vita” (2018), sono stati apprezzati e premiati ai maggiori festival di cinema di animazione nazionali e internazionali. Nel 2003 ha vinto il Nastro d’Argento agli incontri internazionali di cinema.
Roberto, ciao e grazie per questa intervista! Quali sono i temi al centro della tua poetica?
«Principalmente l’infanzia, la memoria, il sogno, l’amore, l’innamoramento. Sì, forse anche il tema dell’equilibrio, che poi è quello centrale nel mio ‘La Funambola’ , probabilmente perché la vita è stare in bilico tra mondi e desideri diversi. E’, quello dell’equilibrio, un tema che mi accompagna nella vita quotidiana e in quella artistica. Accade così, quando inizi a creare devi trovare un equilibrio tra tutti gli stimoli che ti arrivano dall’interno e dall’esterno».
Perché hai scelto l’arte dell’animazione?
«In realtà ho sempre sognato di fare disegno animato, un desiderio che ho coltivato fin da bambino, attratto com’ero dalle immagini in movimento. A 14 anni frequentavo il primo anno di una scuola superiore qui a Jesi, quando un supplente mi parlò della Scuola del Libro di Urbino e chiesi ai miei genitori di potermi trasferire; con enormi sacrifici, acconsentirono e mi hanno supportato in questo percorso di cinque anni di scuola ad Urbino. Qui ho iniziato a respirare il cinema di animazione, ma non quello che conoscevo da bambino, legato agli stereotipi distribuiti nelle sale cinematografiche o in tv. Quando ho scoperto quel modo di disegnare e di pensare per immagini mi si è aperto il mondo, è stata per me una scoperta positivamente sconvolgente, ed ho cambiato il mio modo di immaginare il disegno».
Un percorso non facile, molti confondono il film di animazione con il cartoon d’intrattenimento per bambini…
«Sfatiamo un mito: l’animazione è un linguaggio espressivo, creativo ed artistico, e come tutto il cinema può affrontare qualsiasi tipo di argomento, non necessariamente legato all’infanzia».
Senti di avere un pubblico particolare?
«Tutti noi che facciamo animazione abbiamo il pubblico che segue i festival e gli eventi legati al cinema d’autore. Un pubblico di nicchia e non numeroso, noi disegnatori lo vediamo nelle sale piene e ci piace tantissimo, poi in realtà al di fuori di quelle sale non c’è un grande seguito».
Perché in Italia si fatica a trovare spazio e considerazione per questo tipo di linguaggio? Non è ovunque così, ad esempio in Francia ci sono ben altri circuiti...
«Credo che nel nostro paese ci sia una mancanza totale di sensibilità nei confronti del discorso artistico moderno e contemporaneo. Noi viviamo dei fasti della nostra arte bellissima e meravigliosa di secoli fa. Non c’è interesse verso l’arte contemporanea, e non parlo solo nel cinema di animazione. Da cosa dipende? Forse da una scarsa monetizzazione di questi elaborati? Da scarsa preparazione, mancanza di conoscenza? Non lo so, credo che in genere ci sia scarsa considerazione verso il processo creativo, come se il disegnare sia un talento con cui si nasce e se sei fortunato lo fai senza pensare e senza fatica. Invece la creazione richiede anni di sacrifici e lunghi studi. Tornando ai miei film, sono tutti autoprodotti, tranne l’ultimo, e quando sono andato nei luoghi istituzionali per chiedere finanziamenti sul progetto, mi sono sorpreso della sorpresa degli agenti, era per la prima volta vedevano disegni realizzati nella forma del cinema d’arte e non del puro intrattenimento per bambini».
Si può parlare di una scuola marchigiana dell’animazione? Ci sono diversi autori in questa regione, alcuni famosissimi...
«Assolutamente sì. La scuola del libro di Urbino è indubbiamente la scuola che ha formato molti animatori per molti decenni, e molti artisti restano legarti alla poetica di quella scuola, alla sezione di disegno animato in particolare. Da lì sono usciti negli ultimi 30 anni circa i maggiori autori italiani del cinema d’animazione contemporaneo. Da Gianluigi Toccafondo, che non è marchigiano ma è uscito da quella scuola, fino a Simone Massi, Magda Guidi, Mara Cerri, e tanti altri».
Quali sono stati i tuoi maestri, punti di riferimento che ti ispirano?
«Sono legati alla mia adolescenza nella scuola di Urbino quando a 16 anni ho scoperto, studiando, le carte ritagliate di Lele Luzzati e di Yuri Norstein. Sono stati i maestri per me in assoluto che, pur con linguaggi molto diversi dal mio, mi hanno spinto verso il cinema di animazione. Poi ho avuto la fortuna di conoscere Norstein dieci anni fa , ho scoperto in lui non solo un artista totale ma anche una persona meravigliosa. Tutti i docenti di Urbino, poi, sono stati per me importanti: il loro insegnamento non è stato tanto sulla tecnica, che ho imparato un po’ da solo tra un errore all’altro, ma sono stati maestri perché ci hanno insegnato a vedere in un modo diverso il disegno, il mondo intorno a noi e il mondo interiore. Hanno cambiato il mio sguardo».
Come nutri il tuo percorso creativo? Leggi, guardi film, passeggi, incontri amici, scali le montagne, cosa ti ispira?
«Passeggiare in montagna mi piace molto ma lo faccio raramente di questi tempi…. Leggo moltissimo, ho viaggi andata e ritorno da Pesaro lunghissimi, li occupo leggendo anche in maniera casuale, dai romanzi ai saggi. Poi guardo film, e fin che ho potuto, sono andato molto per musei, per vedere cose nuove in campo artistico».
Come nasce un film di animazione? E’ un processo lungo e laborioso…
«La tecnica l’ho costruita nel tempo ma segue più o meno lo stesso percorso. Ho iniziato a lavorare da ragazzino con i pastelli ad olio, quindi con gessi e oilbar – colori a base d’olio vegetale in forma di barra – insieme ai pastelli a matita. Ho anche lavorato, e lavoro a volte, con la puntasecca e l’incisione. Cerco continuamente ma sempre riportandolo nel mio linguaggio. Comunque è sempre e solo tratto disegnato, non lavoro digitalmente per incapacità e perché mi piace la carta e il colore, lavorare in modo artigianale.
Fare un film è un procedimento lunghissimo, e comunque lavorando in una scuola mi dedico ai miei film non più di due-tre giorni a settimana. Il lavoro creativo è molto bello e lungo, parto da idee molto vaghe e poi inizio a disegnare, così miei disegni diventano mappe attraverso le quali cerco di orientarmi per trovare l’idea verso cui dirigermi. C’è un progetto di fondo, anche se a volte i disegni mi portano verso soluzioni formali e narrative inaspettate. Quando penso di aver raggiunto una idea precisa, parte il lavoro di animazione vero e proprio, per ogni tavola impiego dai 30 ai 50 minuti ed in ogni singolo disegno sperimento. L’animazione inizia con un pensil test, un matitato su carta per mettere a punto il movimento, e poi arriva la fase del colore tra gesso, oilbar, matita, puntasecca».
E poi c’è la musica, sempre misurata al millimetro nei tuoi film…
«È basilare, soprattutto per quanto riguarda i miei piccoli cortometraggi. Sono suoni, rumori, musiche. I miei film sono fondamentalmente piano sequenze, un’unica narrazione senza stacchi, è tutto un fluire di disegni in movimento he si incastrano l’uno nell’altro, quindi quando progetto il film li accompagno con una idea sonora legata a determinati passaggi. In ‘La testa fra le nuvole’ il suono è molto presente, alcune scene del film sono partite di suoni e attraverso di essi ho creato determinati passaggi. Trascrivo su un quadernino i suoni che credo siano legati ai vari passi del film, e quindi ne parlo con i musicisti».
A cosa stai lavorando ora?
«Sto un po’ navigando in un mare burrascoso, ma da molto tempo ho una idea fissa e ci sto lavorando: raccontare in maniera del tutto diversa il burattino di Pinocchio».