JESI – Quella del Rock & Roll è stata una rivoluzione a tutti gli effetti. Ha sconvolto il panorama musicale, ha travolto i costumi abbracciando più aspetti della cultura. Un’epoca in cui i Beatles sono stati affiancati da gruppi come i Rolling Stones, gli Stooges solo per dirne alcuni. Un cambiamento che con la modernità ha perso la rotta: le copertine dei dischi erano arte, i manager rischiavano, le canzoni raccontavano dolori profondi della società e le sue contraddizioni. Musica ribelle, dissacrante che aveva riscosso un successo straordinario. Adesso la musica è per lo più dettata da logiche commerciali: pensiamo alle copertine dei Cd, cantanti che poco hanno da dire e molto da mostrare. Eppure qualcosa si sta muovendo, merito di chi crede nella cultura musicale, che prova nostalgia mista a rabbia. Andrea Refi, detto Sonny Alabama, ci accompagna in un lungo viaggio che vuole tornare alle origini.
Sonny è autore di gig-poster psichedelici, copertine, locandine. Una visione nuova della cultura musicale ed artistica più vicina alle origini del rock che alla musica attuale. Come è cambiato questo mondo?
«La ”Poster art” e la serigrafia sono andate scomparendo per rispondere a logiche commerciali. Copertine come quelle di Andy Warhol sono impensabili attualmente.. quando apro spotify c’è così tanta patina nelle copertine delle “new sensations” da dare il voltastomaco… per fortuna sono di dimensioni ridotte! Nate negli anni Sessanta in America, dove c’è l’abitudine di personalizzare ogni cosa, la serigrafia e la poster art muovono i primi passi al Fillmore West di San Francisco con i “Big Five” :Rick Griffin, Stanley Mouse, Victor Moscoso, Wes Wilson e Alton Kelley. I posters nascono per pubblicizzare la musica, dandole un connotato artistico più ampio: la musica rifletteva l’anti-establishment americano, propagandava un mondo diverso e per certi versi ci è riuscita, basti pensare che nel centro di San Francisco non ci sono catene di multinazionali. Nel frattempo il dio denaro ha governato tutto: la musica ha poco da dire, impensabile adesso un disco grunge che, come all’epoca, rispecchi il dolore, l’inadeguatezza».
Verso la fine degli anni 70/80 il movimento della poster art ha ripreso energia grazie ad artisti incredibili come Art Chantry, Frank Kozik, Coop , Derek Hess, Rockin’ Jelly Bean e Firehouse di Ron Donovane Chuck Sperry, solo per nominarne alcuni.
Parliamo dei tuoi gig-poster psichedelici. Pezzi rari di una bellezza ipnotica. Hai recentemente partecipato a Filler, convention milanese dedicata all’illustrazione, alla grafica, alla stampa, all’editoria e alla cultura Diy (Do It Yourself, in italiano fai da te).
«Uso tecniche moderne e antichissime come la serigrafia, appunto. Le produzioni sono limitate, non come la stampa industriale. Lavoro a mano con la tavoletta grafica e il computer, ritaglio le foto, le elaboro, aggiungo elementi e procedo con una metodologia di stampa artigianale tra le più antiche. Stampo con Vincenzo Kuro Fortunato della rinoteca Fablab di Ancona, collaboro con Jerry Brigante dello skate Park di Osimo. Oltre agli artisti della scena musicale americana anni ’60, mi sono ispirato a Malleus, realtà artistica italiana di tutto rispetto in questo settore, Giampo Coppa è un altro guru della scena. Ho iniziato nel 2004 con l’etichetta indipendente Bloody Sound Fucktory, insieme a Jonathan Iencinella, Alessandro Gentili e Daniele Nando Luconi. Una realtà attratta per istinto e affinità elettiva dalla sottocultura rock e dai suoi aspetti border line. Per sua natura è indifferente ai generi: li attraversa. E’ indifferente alle mode, così come alle ideologie. Ama semplicemente ciò che la colpisce per attitudine. Pubblica e promuove i dischi che avrebbe sempre voluto trovare sugli scaffali del proprio rivenditore di fiducia».
Con questa etichetta avete dato attenzione a gruppi underground nella provincia di Ancona, nuovi obiettivi?
«Nel 2004 la scena che si voleva creare era ben viva e in fermento, folta di agguerrite formazioni pronte a varcare i confini locali, ed è così che Bloody Sound si trasforma da fanzine a etichetta, pubblicando nei due anni successivi nomi che catturano l’attenzione del circuito indipendente nazionale. Il prossimo 11 marzo con Jerry Brigante e Giacomo Mona Monachesi, porteremo alla Galleria Cotton Club di Jesi la seconda edizione della rassegna “Basement” che abbraccia graffiti, tatuaggi, illustrazioni, custom skate art (tavole da skate che diventano opere d’arte)».
Parliamo ancora di musica, i tuoi gig-poster sono lontani anni luce dalle copertine dei dischi di oggi. Guardando una tua copertina però, si capisce perfettamente il genere di musica e molti aspetti del gruppo. Nelle copertine di oggi invece c’è molto poco.
«Le copertine di oggi sono patinate e “photoshoppate “patina Style”: è lo status symbol a piacere, non la musica. Il ragazzino di oggi compra il Cd perché vuole essere come quello lì, non perché cerca uno stato d’animo che lo rappresenta. E questo perché il sound è omologato, non si sa cosa cercare perché quello che esce dai circuiti tradizionali è tutto uguale. Quando realizzo una copertina cerco di approcciarmi al gruppo in modo profondo, non ambisco alla precisione, ma non mi fermo al primo acchito e preferisco la cura del dettaglio. Voglio dire e dare me stesso, quello che sento. Buona parte del pubblico non si ferma più a fare domande, è talmente svuotato artisticamente che non sa nemmeno cosa cercare quando, invece, ci sono gruppi su cui la grande distribuzione non ha il coraggio di scommettere.. se fossi un manager oggi come oggi scommetterei su un gruppo come gli Sheer Mag. Seguendo questa passione mi sono trovato a lavorare per gruppi di tutto rispetto come The Morloks di San Francisco, Dome La Muerte and the Diggers, grandissimo chitarrista (già nei mitici Cheetah Chrome Mutherfuckers, primo gruppo punk hardcore italiano), Hugo Race and the True Spirit, l’alternative/psychedelic metal a “impatto zero” di Lili Refrain che si muove in treno con un trolley, Bob Log III one man Band e potrei continuare».