Nuova avventura musicale per il sassofonista e arrangiatore marchigiano Marco Postacchini: è uscito “Shades of blue” per l’etichetta Barly Records (2024), con Postacchini al tenor sax, flute e piccolo, Davide Ghidoni (trumpet), Massimo Morganti (trombone), Simone La Maida (alto sax), Pierluigi Bastioli (tuba), Gabriele Pesaresi (Acoustic bass), Emanuele Evangelista (piano) e Stefano Paolini (drums).
L’artista, titolare della cattedra di Composizione Jazz presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo, ha partecipato a più di cinquanta produzioni discografiche come side-man, ed ha pubblicato cinque album a suo nome e con la sua band, tutti contenenti arrangiamenti e/o composizioni originali: oltre a “Shades of blue”, ci sono “One finger snap” con ospiti Chiara Pancaldi e Joe Pisto (2022), “Old stuff, new box” (2018), “Do you agree? MP’s Jazzy Bunch e Marco Postacchini Octet feat. Fabrizio Bosso” (2013), e “Lazy Saturday” (2010). Nel suo curriculum spiccano importanti collaborazioni con italiani, tra i quali Fabrizio Bosso, Maurizio Giammarco, Rosario Giuliani, Rita Marcotulli, Gabriele Mirabassi, e stranieri quali John Taylor, Kenny Wheeler, Bob Mintzer, Peter Erskine, Bob Brookmeyer, Maria Schneider e molti altri.
L’idea di “Shades of blue” è nata dall’esigenza di omaggiare una delle etichette discografiche più importanti della storia del jazz: la Blue Note Records. Nata nel 1939 da Alfred Lion e Francis Wolff, due immigrati ebrei tedeschi, ha pubblicato in particolare tra il 1950 e il 1960, quasi tutti i nomi più importanti della scena jazz di quel periodo. La storia di questa casa discografica si lega inoltre allo studio discografico di Rudy Van Gelder, un ottico con l’hobby della fonia che nel 1952 iniziò, proprio grazie alla Blue Note, una folgorante carriera come fonico, iniziata agli esordi nel salotto della casa dei suoi genitori, ma poi sviluppatasi principalmente nel famosissimo studio di Englewood Cliffs, nel New Jersey, dove nell’arco di due decenni registrarono praticamente quasi tutti i personaggi più illustri che in quel periodo stavano letteralmente scrivendo la storia del jazz.
Le composizioni scelte per formare la scaletta di questo album provengono quasi tutte da pubblicazioni storiche di questa etichetta. Su dieci tracce solo i due pezzi di Quincy Jones (Soul bossa nova e The Quintessence) non sono direttamente collegati alla Blue Note ma sono stati inseriti in qualità di ulteriore omaggio ad uno degli arrangiatori più importanti, non solo del vasto mondo della musica afroamericana, ma dell’intera industria discografica statunitense. Gli altri brani in scaletta sono Adam’s apple di Wayne Shorter, Dig dis di Hank Mobley, Sister Sadie di Horace Silver, Blue train di John Coltrane, Jitterbug waltz di Fats Waller, Work song di Nat Adderley e Oscar Brown Jr, Blues walk di Lou Donaldson, The sidewinder di Lee Morgan.
Spiega Marco Postacchini «Avendo coinvolto una formazione di otto persone (come in altre precedenti produzioni) con cui ho la fortuna di collaborare da almeno due decenni, i brani sono stati arrangiati in modo da valorizzare le risorse che un tipo di organico del genere mette a disposizione. Particolare enfasi è stata riposta nella figura del basso tuba. Uno strumento anch’esso utilizzato come una sorta di omaggio allo storico album “Birth of the cool” di Miles Davis, dietro al quale lavorava la geniale mente di uno degli arrangiatori più prolifici e importanti all’interno dell’evoluzione della scrittura per medio e largo ensemble: Gil Evans. Una scelta importante è stata quella di mantenere e di non snaturare completamente l’andamento ritmico e armonico dei brani, che nella maggior parte dei casi, almeno nelle loro parti tematiche principali, hanno mantenuto il contatto con le versioni originali».