Era l’estate del 2019, all’Anfiteatro Romano di Arezzo andava in scena La traviata di Giuseppe Verdi, nell’allestimento memorabile detto “degli specchi” ideato per l’Arena Sferisterio di Macerata nel 1992 dal genio di Josef Svoboda, il grande scenografo ceco. Un allestimento storico, tutto marchigiano, riallestito lo scorso anno al festival aretino da Sferisterio e Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, e che da anni gira per il mondo grazie a maestranze marchigiane. Aiuti scenografi, decoratori, macchinisti, fonici, elettricisti, attrezzisti, sarte e truccatrici teatrali… professionisti del dietro le quinte, depositari di un alto artigianato legato allo spettacolo dal vivo ed in particolare alla produzione lirica che è il prodotto d’eccellenza che più “Made in Italy” non si può. Di solito sono vestiti di nero per essere ancora più invisibili dietro le quinte, nessuno tra il pubblico deve avvertirne la presenza tanto silenziosa quanto operosa, fondamentale nell’ideazione produzione e messa in scena di uno spettacolo. Li chiamano “maestranze tecniche”, e sono creature in carne ed ossa che amano il loro mestiere e che vivono di esso. A volte giocano con il palcoscenico, quando nessuno li vede, poi postano le loro foto sui social perché sono giustamente orgogliosi di quello che fanno. Come nella foto di apertura di questo articolo, scattata sul palcoscenico dell’Anfiteatro di Arezzo, stesi sul grande tappeto delle scene di Traviata per riflettersi nella superficie specchiante creata da Svoboda.
Le maestranze della foto sono in larga parte soci della cooperativa Proscenio di Macerata, società attiva negli allestimenti scenici e servizi per lo spettacolo, che opera dal 1989 in Italia e non solo. Una quarantina sono i tecnici altamente specializzati che vi lavorano, coprendo tutte le professionalità che uno spettacolo dal vivo richiede. Nelle Marche lavorano soprattutto con l’Arena Sferisterio di Macerata ed il Teatro Pergolesi di Jesi, ma sono numerosi i lavori svolti per teatri nazionali ed esteri, come nella Carmen di Bizet andata in scena in alcuni teatri francesi e realizzata da alcuni di questi super-professionisti nel Laboratorio Scenografico della Fondazione Pergolesi Spontini.
Dopo mesi e mesi di stop forzato durante la prima ondata di Covid-19 (i teatri sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire, da fine febbraio alla metà del giugno scorso), alcuni dei tecnici della Proscenio hanno ripreso a lavorare questa estate, nella lirica allo Sferisterio, e al Teatro Pergolesi di Jesi per il Festival Pergolesi Spontini. Tra mascherine e termoscanner, e rigide disposizioni anticontagio, stavano lavorando ancora a Jesi per la stagione lirica quando il 24 novembre è arrivato il Dpcm che ha disposto un nuovo stop a tutte le attività di spettacolo aperte al pubblico. Con le nuove disposizioni da zona gialla di questi giorni, resteranno a casa e senza lavoro fino al 3 dicembre, ammesso che l’epidemia allenti la pressione. Un aiuto per le maestranze tecniche della Proscenio dovrebbe venire dal Decreto Ristori, con i bonus legati a chi lavora nel settore dello spettacolo dal vivo; per quelli che hanno contratti in essere, interrotti dal Dpcm, potrebbe esserci la possibilità della cassa integrazione, come è avvenuto durante il primo lockdown, ma su questo si attende conferma.
Al di là delle misure attese, tra gli “invisibili” del teatro prevale ora un gran senso di sconforto e amarezza. Come nel caso di Simone Caproli, elettricista presso il Teatro Pergolesi e vice presidente della Proscenio, che così ha scritto sulla pagina Facebook della cooperativa: «Dalla riapertura del Teatro abbiamo quasi raggiunto le 1000 giornate lavorative e collaborato con numerose altre aziende rilevando 0 (ZERO) casi di positività al nostro interno. Un caso? Una botta di fortuna? No, non penso! Abbiamo tutti le orecchie ferite dagli elastici delle mascherine, mani irritate dall’utilizzo dei gel dinfettanti, ridotto il personale e aumentato la produttività per mantenere il distanziamento, altissimo stress psicologico per rispettare ogni protocollo, mutato il nostro vivere extraprofessionale per la responsabilità individuale di ognuno, lavorato di notte perché di giorno si sanificava ecc. e siamo riusciti ad evitare che l’infezione entrasse dentro i nostri palcoscenici, poltrone e palchetti. Quale è stato il premio per tutto questo? La richiusura! Le ripercussioni su tutto il movimento dello spettacolo, questa volta, potrebbero essere più gravi che a marzo!»
Fabrizio Gobbi, presidente della Proscenio, spiega: «Abbiamo una quarantina di soci, tutti lavoratori a chiamata a seconda delle esigenze dei teatri e delle compagnie. Ovviamente non tutti lavorano contemporaneamente. Sono tecnici marchigiani, soprattutto della zona di Macerata e di Jesi. Circa il 90% dei nostri soci sono ora fermi, pochi altri continuano a lavorare nella preparazione di produzioni teatrali che andranno in streaming o nella progettazione e realizzazione degli interni del nuovo Teatro di Cupramontana. Stiamo pensando di attivare la cassa integrazione e strumenti di sostegno al reddito, per tutti quelli che al momento dello stop avevano un contratto attivo. Per gli altri che non erano in chiamata, ma che l’anno precedente hanno accumulato ore lavorative, il Decreto Ristori prevede un bonus».
«Come sto vivendo questo periodo? Lo sto vivendo male soprattutto per i nostri ragazzi, i giovani hanno tantissimi problemi, perché il lavoro sta calando tantissimo. Questo nuovo stop, davvero, non ci voleva – aggiunge Gobbi – è arrivato in un momento in cui il teatro stava riprendendo bene, onestamente, soprattutto nella produzione lirica, stavamo lavorando abbastanza bene e ci stavamo illudendo in una possibile ripresa. Guardando al futuro, c’è tanta incertezza. Gli aiuti dello Stato nei mesi scorsi sono arrivati abbastanza puntuali, ma di certo non risolvono il problema dei lavoratori che vivono di questo mestiere».
C’è qualcuno, tra i vostri associati, che si è inventato qualcosa, per sbarcare il lunario?, chiedo. «Secondo me i lavoratori del settore sono troppo impegnati a cercare di sopravvivere. Certo le piattaforme in streaming possono dare una qualche possibilità al teatro per mantenere vivo il contatto con il pubblico, ma la televisione non potrà mai sostituire lo spettacolo dal vivo, la partecipazione, l’emozione di ogni sua componente, spettatori e lavoratori».
Se avessi il megafono e potessi far sentire la tua voce ai potenti che stanno all’interno della stanza dei bottoni, cosa chiederesti? «Visto che si sta pensando di erogare misure di sostegno ai lavoratori del settore, io chiederei di fare molta attenzione ad aiutare le maestranze più deboli e meno rappresentate, che non hanno voce e sono invisibili. Conosco giovani professionisti con figli che hanno avuto aiuti minimi, di questi non si può davvero vivere».