Cultura

Rush finale a Venezia 75

La mostra cinematografica sta per volgere al termine: pagine di cronaca nera, revenge movie, adulteri e l'isola rivoluzionaria di Capri sono gli argomenti delle pellicole presentate

Capri-Revolution, di Mario Martone: sito della biennale cinema

Un tema ricorrente, quello degli attacchi terroristici in questa edizione della mostra. In concorso “22 July” di Paul Greengrass ripercorre la tragica vicenda del peggior omicidio di massa avvenuto in Norvegia. Tratto dal libro One of Us di Asne Seierstad, il film ripercorre la tragica vicenda del 22 Luglio 2011 (la strage di Utoya) quando un’estremista di destra di nome Breivik causò la morte di 77 persone ad Oslo, facendo esplodere un’autobomba, e sterminando una folla di adolescenti in un campeggio. Un attentato che ha spento tante vite, nel tentativo di annientare ogni ideale di democrazia, di convivenza pacifica tra diversi popoli  in Norvegia. La prima parte del film si concentra sull’arresto e il processo di Breivik mentre la seconda parte segue la riabilitazione di un sopravvissuto alla strage, il giovane Viljar che seguirà un percorso di recupero e, in un secondo momento, si ritroverà in tribunale faccia a faccia con lo spietato assassino. Diretto in maniera meticolosa, il film scorre fluido tra la brutalità e le conseguenze di un folle delirio omicida e la speranza di una vita e di un futuro dopo l’orrore e il dolore. Il regista ha cercato di trattare in maniera rispettosa i fatti nel rispetto delle famiglie che hanno perso i loro cari. Ha scelto, inoltre, come partner Netflix per dare la possibilità soprattutto ai giovani di vedere il suo lavoro, fornendo uno spunto di riflessione su ciò che accade nel mondo e anche una buona dose di speranza e di coraggio per non cedere al terrore, credere nel domani, preservando a tutti i costi la propria libertà.

Atmosfere completamente diverse per il film di Carlos Reydagas dal titolo “Nuestro tiempo” dove si analizza un rapporto coniugale in crisi; una coppia di messicani che allevano tori viene travolta da un senso di insoddisfazione e la ricerca della trasgressione da parte della protagonista che si invaghisce di un altro uomo. Il film sembra avvilupparsi su se stesso nel tentativo di scandagliare le fragilità e le contraddizioni di una relazione amorosa di lunga data. Come se il regista spagnolo volesse comunicarci che in una coppia è necessario “scendere a patti”, accettare compromessi per la salvaguardia della stessa, anche al di là della morale comune. Curioso il fatto che Reydagas abbia scelto la moglie per il ruolo della fedifraga Esther anche se il regista nega qualsiasi spunto autobiografico. Tuttavia al di là del trattato sull’amore propostaci dalla pellicola, Nuestro tiempo non ha sufficienti spunti narrativi per tenere incollati allo schermo e coinvolgere lo spettatore.

Mario Martone, invece, convince con il suo Capri-Revolution. Ambientato agli inizi del’900 sulla splendida isola, periodo in cui si sviluppa il movimento artistico, nudista e vegetariano di Karl Diegenbach.

«Mi sono imbattuto nella storia della comune del pittore Karl Diefenbach per caso vedendo i suoi quadri alla Certosa di Capri – racconta il regista – non sapevo che all’inizio del Novecento ci fossero comuni che anticipavano le esperienze degli anni Sessanta e Settanta, per me si è creato un immediato cortocircuito temporale con Joseph Beuys, artista rivoluzionario che ha realizzato in quegli anni Capri Batterie, una lampadina innestata in un limone. Mi interessava l’idea dell’arte che non era ricerca estetica ma il tentativo, frutto di una visione politica, di trovare un diverso modo di creare una relazione tra le persone. Per questo Seyboud è un personaggio nuovo che ha ormai alle spalle la pittura e si dedica alla danza come forma di interazione tra gli uomini».

Attraverso la storia di Lucia, interpretata da Marianna Fontana,  giovane isolana capraia, costretta a subire soprusi dal padre e i fratelli in un contesto dove regna il maschilismo e l’ignoranza, Martone rende l’isola metafora del mondo in cui giovani ribelli lottano per la propria libertà. Lucia infatti si ribella, segue il capo hippie di una comune e il medico progressista del paese, dà una nuova prospettiva alla sua vita. «Un’isola dove convive la filosofia della comune, l’ideologia del medico e una dimensione arcaica». Una riflessione dunque sulla liberazione da schemi politici, sociali ed intellettuali in cui si promuove la circolazione di idee nuove come il vegeterianesimo. La rivoluzione di Capri è un’utopia che invita al cambiamento come espressione autentica dell’uomo, oltre ogni convenzione. altro uomo. «Uno dei fronti politici dei prossimi decenni sarà certamente la messa in discussione della catena alimentare perché direttamente collegata ad uno sviluppo tumultuoso e violento, ad uno squilibrio mostruoso che fa parte di un’idea di progresso che non ci soddisfa più» – dichiara il regista parlando della scelta dei personaggi dei suoi film di non uccidere e non mangiare animali.

Altra protagonista femminile, mood e punti geografici completamente distanti, nel film in concorso “The Nightingale” dell’australiana Jennifer Kent. Revenge movie ambientato in Tasmania nel 1875, in cui una giovane detenuta dopo aver subito violenze ripetute da parte dei soldati, cerca di farsi giustizia da sola. L’attenzione sul film si è purtroppo spostata ad un fatto increscioso successo al termine della proiezione, in cui un accreditato ha insultato con veemenza la regista. Il film ha toni violenti e oscuri; la vittima diventa carnefice seminando crudeltà, morte e violenza. È sicuramente a causa di cotanta cattiveria gratuita che l’unica regista donna in concorso di questa edizione della mostra, ha destato scalpore e disapprovazione. In realtà il film vuole essere una dura critica della civilizzazione dove il diverso, lo straniero, in questo caso “l’aborigeno” ristabilisce un equilibrio rotto, vendicandosi dell’altro, il “civilizzatore”. The Nightingale che in italiano vuol dire Usignolo, appellativo della protagonista, pare però tutt’altro che melodioso e gentile come il canto dell’uccello a cui fa riferimento, ma piuttosto stridente in un festival in cui la violenza di qualsiasi forma è stata analizzata e mai giustificata in nome di un ideale.