FABRIANO – Applicazione da scaricare nello smartphone del dipendente per verificarne le timbrature di ingresso e uscita dal lavoro. La Fiom, attraverso il responsabile del territorio di Fabriano, Pierpaolo Pullini, e il segretario generale, Tiziano Beldomenico, dice “no” a questa pratica, giudicandola invasiva rispetto alla vita privata, «in quanto potrebbe configurarsi come un controllo a distanza delle persone», e promette di investire della questione il Garante della privacy, qualora le Società di Somministrazione non «la smettano con questa richiesta».
Tutto è partito da alcune segnalazioni giunte alla Fiom da aziende di tutta provincia di Ancona. «Ci viene segnalato che si sta iniziando a diffondere la pratica di alcune Agenzie di Somministrazione che richiedono ai lavoratori, al momento della stipula dei contratti, di installare una applicazione nel proprio cellulare per effettuare le timbrature di ingresso e uscita dal lavoro, dietro la firma della liberatoria per la privacy, ultima tutela rimasta sul controllo a distanza, dopo che con il Jobs Act si è modificato l’art.4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/70)», scrivono in una nota Pullini e Beldomenico.
Se dal punto di vista legale non dovrebbero esserci particolari criticità, «nei fatti la pratica diventa invasiva della sfera intima delle lavoratrici e dei lavoratori. È importante che chi riceve questa richiesta non dia l’autorizzazione all’utilizzo del proprio smartphone come marcatempo. Chiaramente non si vuole affermare che attraverso questo sistema ci si ponga l’obiettivo di controllare le persone, ma la delicatezza dell’argomento non permette di sottovalutarne il tema».
Da qui, l’appello con annesso avvertimento. «Ci appelliamo alle Agenzie di Somministrazione chiedendo di fermare questa pratica laddove si fosse verificata e di non prenderne in considerazione l’utilizzo. Chiediamo alle aziende che utilizzano questa tipologia di lavoro di accertarsi che ciò avvenga, soprattutto alle grandi Multinazionali, in nome dei loro codici etici. Ricordiamo alle lavoratrici e lavoratori somministrati che è un loro diritto rifiutarsi di scaricare sui propri dispositivi personali la App e di segnalare eventuali forzature che non vogliamo nemmeno pensare si possano verificare. Se le aziende non rifiuteranno tale prassi – concludono Pullini e Beldomenico – valuteremo di rivolgerci al Garante della Privacy».