FABRIANO – Ritirata la domanda di ammissione al concordato da parte della JP Industries di Fabriano, con annesso Piano concordatario liquidatorio quinquennale che prevedeva, tra l’altro, anche 343 esuberi. Un fulmine al ciel sereno che rimescola nuovamente le carte. Quattro le strade percorribili.
Ieri mattina, 4 marzo, i rappresentanti di Fim-Fiom-Uilm di Marche e Umbria sono state convocate, in tutta fretta, dalla Direzione aziendale per delle comunicazioni importanti inerenti lo stato della vertenza. L’imprenditore cerretese, Giovanni Porcarelli, che ha acquistato il comparto bianco della ex Antonio Merloni, costituito dai due stabilimenti di Fabriano: Santa Maria e Maragone, e da quello umbro di Gaifana, era assente, secondo rumor accreditati.
Le comunicazioni riguardavano la richiesta da parte dei giudici del Tribunale di Ancona, sezione Fallimentare, di integrazioni e/o modifiche al piano che era stato depositato il 28 gennaio scorso, da fornire entro quindici giorni, con scadenza oggi, 5 marzo. Non è dato sapere il contenuto di queste richieste, ma è facile ipotizzare che potessero riguardare la sostenibilità del piano stesso sia per quel che riguarda i finanziamenti che l’occupazione. Ebbene, dalla JP Industries di Fabriano si è preferito ritirare la domanda di concordato, non fornendo in tempo quindi queste integrazioni e/o modifiche.
«Le organizzazioni sindacali ritengono fondamentale condividere un percorso che dia continuità e prospettiva al progetto iniziato 8 anni fa, verificando la possibilità di utilizzo di tutti gli strumenti messi a disposizione e le strade da percorrere per garantire, in totale trasparenza, la sopravvivenza industriale e difendendo in primis l’occupazione, nell’interesse dei territori e delle centinaia di famiglie coinvolte. In questa direzione chiedono con forza all’azienda e alle Istituzioni uno sforzo straordinario», si legge in una nota unitaria a firma Fim-Fiom-Uilm.
I possibili scenari, ora, sono riconducibili a quattro strade. La prima: che l’attuale proprietà decida di andare avanti ristrutturando, in autonomia o con l’ingresso di un eventuale partner, il debito, immettendo liquidità in cassa, intercettando commesse e andando avanti con l’attuale forza lavoro, 593 dipendenti, spalmati su tre stabilimenti. La seconda: la ripresentazione della domanda di ammissione al concordato, predisponendo un nuovo piano tenendo conto delle richieste del Tribunale di Ancona. Terza: cercare acquirenti per la vendita della JP Industries, ben sapendo che ci sono debiti stimabili fra 30 e 40 milioni di euro. Quarta: i creditori presentano istanze di fallimento con decreti ingiuntivi a pioggia. L’ipotesi peggiore perché vorrebbe dire il fallimento tout court della JP con nuova bomba occupazionale.