FABRIANO – Si è spento ieri notte, 12 dicembre, alla vigilia della festa di Santa Lucia, Santa Patrona dei Metalmeccanici, Antonio Merloni. Aveva 93 anni, ne avrebbe compiuti 94 il 19 dicembre prossimo.
Fondatore della Antonio Merloni Spa che, nel corso degli anni ’90 e 2000, è divenuto il più grande contoterzista d’Europa nel comparto del bianco: lavatrici soprattutto. Era il terzogenito di Aristide Merloni. Sindaco della città della carta per tre mandati consecutivi dal 1980 al 1995.
I funerali si svolgeranno martedì 15 dicembre alle 11 nella chiesa della Misericordia a Fabriano. Il feretro sarà, quindi, tumulato nella tomba di famiglia nel cimitero di Albacina, accanto alla moglie Cecilia Ronchetti, deceduta nel settembre 2019. Lascia la figlia Giovanna, oggi imprenditrice come produttrice di birra artigianale.
Si è spento nella sua abitazione dove da alcuni anni si era ritirato a vita privata, Antonio Merloni, fondatore dell’omonima azienda che divenne il più grande conto terzista d’Europa negli anni ‘90, con oltre 3mila dipendenti diretti e 5mila dell’indotto. Cene faraoniche per festeggiare il 13 dicembre, Santa Lucia Patrona dei metalmeccanici. Cantanti e cabarettisti di fama per intrattenere gli invitati e doni natalizi per i dipendenti. Quando, però, le aziende produttrici di elettrodomestici iniziano a ritirare gli ordinativi, si scopre che non si può competere sul mercato globale senza un forte brand proprio. Si è tentato di dare una scossa con il ricambio generazionale. Al patron Antonio subentra la figlia Giovanna. Ma i debiti finanziari pari ad oltre 500milioni di euro pesano come un macigno sui bilanci aziendali.
Dagli altari alla polvere. Tutto inizia con Aristide Merloni, senatore e capostipite della dinastia imprenditoriale fabrianese. Alla sua morte, i tre figli maschi si spartiscono l’eredità paterna, prendendo ciascuno una propria strada: Ester, la primogenita a fare da raccordo, fra i tre figli maschi, Francesco fonda la Merloni termosanitari, oggi Ariston Thermo Group; il fratello Vittorio dà vita alla Merloni elettrodomestici, poi Indesit company, oggi Whirlpool.
Antonio, terzogenito, avvia la propria azienda nel 1968, Ardo, nel solco dell’esperienza paterna producendo bombole per Gpl. Diventa leader del mercato mondiale nel 1976. Il successo imprenditoriale conseguito non basta più. Si aggrediscono nuovi segmenti produttivi e nasce, nel 1989, la Antonio Merloni S.r.l., poi divenuta Antonio Merloni S.p.A. l’anno successivo. Il gruppo si specializza nella produzione di frigoriferi, congelatori, lavastoviglie, lavatrici e asciugatrici, per conto terzi e con il marchio Ardo, diventando il primo contoterzista d’Europa negli anni ’90. La crescita è inarrestabile. Nel 1995 la prima acquisizione: la Tecnogas S.p.a. di Gualtieri di Reggio Emilia, azienda italiana produttrice di forni e piani cotture. Nel 2000, si guarda oltre i confini italiani acquisendo in Svezia l’azienda Asko, produttrice di elettrodomestici di alta-altissima gamma nel Nord Europa. L’azienda, nel massimo dello splendore, arriva a contare circa 5.000 dipendenti sparsi in 10 impianti produttivi: 7 in Italia fra Marche, Umbria ed Emilia-Romagna; 3 all’estero in Finlandia, Svezia e Ucraina; 19 filiali in Europa e 2 negli Stati Uniti e Australia. Nel 2007 realizza un fatturato pari a 847 milioni di euro.
Il mercato, però, inizia a cambiare. Gli elevati costi di produzione, legati essenzialmente alla manodopera, inducono i principali player del comparto degli elettrodomestici a spostare le produzioni conto-terzi in Nazioni a basso costo. Alla Antonio Merloni Spa iniziano a calare, vorticosamente, gli ordinativi. L’indebitamento finanziario, al contrario, vola. Dal record di fatturato del 2007, si passa alla crisi conclamata nel giro di appena 12 mesi. Il gruppo fabrianese viene travolto e, il 14 ottobre del 2008, si aprono le porte dell’Amministrazione straordinaria – Legge Marzano con conseguente nomina di tre commissari governativi: Massimo Confortini, Antonio Rizzi e Silvano Montaldo – perché il contoterzista più grande d’Europa è insolvente, avendo accumulato debiti per circa 543,3 milioni di euro.
Gli operai scendono in piazza con manifestazioni che raggiungono la ribalta nazionale, infiammando il clima cittadino. Una serie di bandi internazionali sono pubblicati nel tentativo di raccogliere manifestazioni di interesse per l’acquisto dell’intero perimetro industriale della Antonio Merloni. Nulla si concretizza. Appare, quindi, inevitabile procedere con la cosiddetta vendita a spezzatino a partire dal gennaio 2010: il 17 luglio è venduto il ramo bombole e serbatoi, denominato C&T, alla Gi&E degli imprenditori marchigiani Ghergo, per una cifra pari a 25milioni di euro; Il 9 agosto 2010 la Electrolux acquista lo stabilimento in Ucraina per 19milioni di euro; Il 20 agosto 2010 la Asko, per 10milioni di euro, finisce nelle mani della slovena Gorenje; Il 28 agosto tocca gli iraniani della Mmd acquistare la Tecnogas per 20milioni di euro.
Per il comparto elettrodomestici – tre siti produttivi fra Marche ed Umbria e 2.400 dipendenti – nessuna proposta di acquisto. Si prova con un ultimo bando ad hoc. Si fanno avanti otto potenziali acquirenti. Nelle more dello spezzatino, il 19 marzo del 2010, viene sottoscritto l’Accordo di Programma per le aree colpite dalla crisi della Antonio Merloni. A disposizione ci sono 35milioni di euro, equamente distribuiti fra Marche ed Umbria, le due Regioni più colpite dalla vertenza Ardo. Fondi che servono per favorire nuove attività imprenditoriali facilitando la riassunzione dei lavoratori del gruppo fabrianese attraverso una serie di sgravi contributivi. Un’arma in più da utilizzare nella trattativa per giungere alla tanto agognata vendita del core business della Antonio Merloni. Lo scopo non viene raggiunto. Poi, l’imprenditore del paese vicino a dare una speranza, Giovanni Porcarelli da Cerreto D’Esi. Nel dicembre 2011, il comparto bianco della Antonio Merloni è venduto per 10milioni di euro, con l’assunzione di 700 tute blu. Le banche creditrici della precedente gestione della Antonio Merloni non ci stanno. Avanzano formale richiesta al Tribunale di Ancona per annullare questa operazione a causa dell’esiguo prezzo della cessione. I giudici, sia in Primo che in Secondo grado, danno ragione agli istituti di credito. Ma la Corte di Cassazione, ribalta i verdetti, dando ragione a Porcarelli.
Il resto è storia di questi giorni, con la JP Industries, divenuta ora Indelfab che è dichiarata ufficialmente fallita da poche settimane. Una storia triste che sembra proprio non dover avere un happy ending.