FABRIANO – Una foto, spesso, racconta più di mille parole. Come nel caso dell’urlo liberatorio di Marko Jovancic, ala della Ristopro Fabriano, dopo la vittoria in volata di sabato scorso sul parquet pugliese di Nardò.
Un’immagine, quella in evidenza qui sopra (gentilmente concessa da Vito Massagli – Mvp Image), che testimonia il riscatto del giocatore di origine serba dopo una prima parte di stagione fatta di prestazioni altalenanti.
Per lui, nella vittoria a Nardò, 14 punti con 2/2 ai liberi, 3/4 da due e 2/3 da tre. Certamente la sua miglior partita in maglia biancoblù.
Alla ripresa degli allenamenti dopo la pausa natalizia, pertanto, siamo andati a fare una bella chiacchierata con lui.
«Sapevo bene che finora non avevo reso per quelle che erano le aspettative della società e di me stesso – dice Jovancic – e di questo mi dispiaceva molto, perché sono uno che ci tiene tanto a dare il massimo. Ecco, diciamo che finalmente sono riuscito a togliermi questo peso dalle spalle. E spero di continuare così, nel girone di ritorno, unitamente alla squadra».
Marko, partiamo dall’inizio, così possiamo conoscerti meglio. Ci racconti un po’ di te?
«Sono nato a Belgrado, in Serbia, nel 1993. Avevo appena dieci mesi quando io, mia mamma e mio fratello maggiore abbiamo seguito mio padre in Italia, in fuga dalla guerra che attanagliava il nostro paese. Per cui ho doppia cittadinanza, serba e italiana. Approdammo a Rovereto, in Trentino, e sono grato ai miei genitori per avermi dato la possibilità di questa prospettiva migliore, evitando di vivere nella miseria del dopoguerra in Serbia. Anche se con il mio paese di origine resto molto legato».
La Serbia fa rima con grande tradizione per il basket… Non potevi che diventare giocatore, giusto?
«Anche mio padre ha giocato a basket nelle giovanili della Stella Rossa, come allenatore aveva Dule Vujosevic (coach anche in Italia negli anni Novanta a Brescia, Pistoia e Pesaro, nda), e la passione gli è sempre rimasta, trasmettendola anche a mio fratello, che ha giocato fino in C1 a Rovereto, e a me. Mia madre, pur non essendo stata una praticante, è diventata ben presto la mia prima tifosa ed è venuta a vedermi anche qui a Fabriano. Fin da piccolo, ogni estate tornavo a Belgrado dai nonni e là avevo l’opportunità di giocare da mattina a sera, perché in Serbia si gioca a basket davvero sempre. Il mio idolo era Dejan Bodiroga, secondo me uno degli europei più forti di sempre, sapeva giocare in tutti i ruoli, aveva un fisico normale, quasi da impiegato, ma arrivava sempre prima degli altri grazie ad una grande tecnica e conoscenza del gioco».
E in Italia, com’è stato il tuo percorso cestistico?
«Ho mosso i primi passi a Rovereto, poi mi sono trasferito nel settore giovanile di Trento, che non era ancora in serie A, ma già stava costruendo un progetto importante anche a livello giovanile: frequentavo le superiori, vivevo in foresteria ed ero seguito in tutto e per tutto dalla società. Dopo cinque anni a Trento, nel 2009 sono passato alla Reyer Venezia, che a sua volta stava investendo forte sul settore giovanile e vide in me buone qualità per essere reclutato. Mi sembrava una ghiotta occasione di crescita e così mi sono trasferito a Mestre, dove tutt’ora risiedo. A Venezia ho avuto l’occasione di far parte per tre anni, come giovane, della formazione di Legadue sotto le direttive di coach Dell’Agnello prima e Mazzon poi, con De Raffaele vice. Una figura molto importante, per me, è stata ed è tutt’ora quella di Federico Casarin, ex direttore sportivo e adesso presidente della Reyer Venezia. Dopodiché, dal 2012/13, è iniziato il mio girovagare per l’Italia da senior».
Ci riassumi brevemente le tappe?
«Nel 2012/13 a Omegna in DNA, nel 2013/14 a Spilimbergo in DNB, nel 2014/15 a Fondi in serie B (10,4 punti di media, nda), nel 2015/16 a Vasto in serie B (13,7 punti di media, nda) e nel 2016/17 a Piombino sempre in serie B (5,6 punti di media, nda)».
Nell’estate 2017, quindi, la chiamata della Ristopro Fabriano, della quale sei stato il primo giocatore ad essere firmato dopo la promozione in serie B. Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta della società del presidente Di Salvo?
«Venivo da una stagione in cui non ritenevo di aver espresso in pieno le mie potenzialità, quindi ho preso al volo l’opportunità offertami di avere spazio e responsabilità».
Dopo quindici partite a Fabriano, per te 6,6 punti e 4,5 rimbalzi di media: come giudichi il tuo rendimento?
«Troppi alti e bassi. Credo di aver fatto un precampionato secondo le attese, mentre in seguito ho faticato ad adattarmi a quanto richiestomi, pur cercando di fare sempre tutto ciò di cui la squadra ha bisogno. Il fatto di non essere riuscito a garantire un buon rendimento l’ho sofferto, ma accetto le critiche. Io stesso pretendo tantissimo da me, sono un perfezionista, e finora non ho reso per quanto mi aspettavo e per quanto la società si aspettava da me. La buona partita che ho giocato a Nardò vuole confermare alla società e al pubblico che non mollo, fino alla fine. So che devo prendermi più responsabilità, sia dal punto di vista tecnico che morale. Per vincere c’è bisogno del contributo di tutti gli elementi della squadra e i numeri finora confermano il fatto che quando sono riuscito a fornirlo, i risultati sono arrivati, come a Porto Sant’Elpidio (12 punti, nda), con Giulianova (13 punti, nda), Matera (9 punti, nda) e a Nardò (14 punti, nda). Viceversa, quando ho fatto zero, anche la squadra ha pagato in termini di risultati».
Insomma, la Ristopro d’ora in poi non potrà più permettersi di “regalare” Jovancic agli avversari, ci sarà sempre bisogno del tuo contributo. Pensi che la buona performance a Nardò possa essere un punto di svolta per te?
«Credo nel lavoro, vera chiave per fare bene. Da questo punto di vista ci ho sempre dato dentro, quest’anno non ho mai saltato un allenamento e non ho mai accampato scuse sul mio rendimento: e i risultati pian piano stanno arrivando, per cui penso che devo continuare così, concentrato partita per partita».
E a livello di squadra?
«Penso che finora, in certi momenti, sia mancata la freddezza per valutare le nostre prestazioni: si è passati da un eccessivo entusiasmo dopo alcune vittorie ad un clima di grande delusione dopo le sconfitte. Ma non abbiamo mai mollato e penso che questo sia uno dei nostri punti di forza, rialzandoci dopo aver disputato alcune prestazioni sottotono. Forse dovremmo andare in campo più sereni, senza ansie o paure, con quella tranquillità mentale con cui inconsciamente abbiamo giocato a Nardò. Qualità ne abbiamo e ritengo che nel girone di ritorno potremo risalire in classifica dall’attuale terzultimo posto».
Facci conoscere qualcosa in più di te: chi è Marko Jovancic?
«Un tipo tranquillo… Sto con Silvia da quasi un anno, che ha deciso di seguirmi anche qui a Fabriano, lei è molto importante per me. Abbiamo un cane, un jack russel di nome Ray. Sono iscritto all’università di Padova, dove studio consulenza del lavoro, per quella che credo possa essere una strada post carriera cestistica, anche se sono ancora molto giovane e spero di giocare a lungo. Durante la stagione agonistica, in verità, non riesco a studiare molto, mentre d’estate faccio qualcosa in più».
Sei uno di quei giocatori che “staccano” con il basket appena finito l’allenamento, o di quelli che seguono tutto e di più?
«La seconda: seguo molto, mi piace essere informato su ogni categoria italiana, ho tanti amici giocatori, guardo tutta l’Eurolega, non troppo l’Nba. Tifo Venezia e la Stella Rossa Belgrado».
Il contatto con la Serbia, dunque, resta forte per te?
«Sì, sono molto legato alle mie origini. La scorsa estate ho portato anche Silvia a Belgrado, una città che porta ancora le ferite della guerra, ma che negli ultimi anni mostra evidenti segni di ripresa. Per il resto, sono cristiano ortodosso, per cui il Natale lo festeggerò domenica 7 gennaio».
Proprio il giorno della prima partita del girone di ritorno, a Civitanova… A proposito, come la affronterete?
«Penso che dovremo rivedere la partita dell’andata, per ricordarci com’è finita… (sconfitta subita dalla Ristopro con tripla di Andreani sulla sirena, nda). Io penso che possiamo giocarcela, dipende da noi».