La maggior parte delle persone trova piacevole andare al mare e ci passerebbe volentieri le proprie vacanze. Sono anche ben noti tutti i benefici psicologici che il mare comporta, tanto che si ritiene che abitare vicino al mare sia un fattore protettivo per la salute mentale. Secondo il pensiero comune è impossibile non amare il mare, e di fronte a qualcuno che afferma il contrario, gli si obietta che è solo perché magari non sa nuotare, o perché ha subito un qualche trauma, o perché non ci è nato e non lo conosce, o perché in realtà detesta la vita da spiaggia, ma non il mare in sé, perché tutti amano il mare.
Come per molte altre questioni, generalizzare e giudicare le preferenze altrui dando per scontate certe motivazioni è un atteggiamento superficiale che non permette di far emergere la complessità delle differenze individuali e non permette neanche di riconoscerle e rispettarle. Moltissime persone non amano il mare e ci vanno solo per assecondare i desideri delle persone care, ma se potessero scegliere passerebbero il loro tempo altrove. Se chi ama andare al mare solitamente non si sente chiedere “perché ti piace andarci?”, a chi non ama andarci succede molto più spesso di dover giustificare un’avversione che appare strana e difficilmente comprensibile.
Quali sono quindi i motivi per cui alcune persone non amano andare al mare? In certi casi, non è il mare in sé come elemento naturale a non piacere o suscitare sensazioni negative, ma la vita da spiaggia che tipicamente caratterizza la vacanza al mare, con tutto ciò che ne consegue. In questo caso il mare è inteso come luogo della vacanza, delle ferie, del divertimento; il luogo delle occasioni sociali, degli eventi, dei locali. Molti di quelli che non amano andare al mare d’estate, andrebbero volentieri se la spiaggia fosse più appartata e meno affollata, oppure ci vanno nelle altre stagioni, o in orari specifici. La tipica vita da spiaggia può non piacere per diversi motivi:
– Stare ore in spiaggia a prendere il sole risulta noioso per molte persone, a meno che non abbiano qualche attività da fare come immersioni, windsurf, beach volley, oppure altri luoghi vicini da visitare con cui compensare l’inattività. Oziare sotto il sole può essere vissuto non come relax ma come una noiosa perdita di tempo che si potrebbe usare in modo più proficuo e stimolante.
– Una spiaggia affollata è rumorosa: il chiasso, gli schiamazzi, la musica, i discorsi dei vicini di ombrellone, i comportamenti indisciplinati di adulti e bambini sono vissuti con fastidio dalle persone che desiderano maggiore tranquillità.
– La vita in spiaggia comporta una certa esposizione del corpo: mettersi in costume e mostrare il proprio corpo può causare disagio per pudore, per una scarsa accettazione del proprio corpo, per la tendenza a confrontarsi con gli altri, per il timore di essere oggetto di sguardi e di scherno per il peso, per presunti difetti fisici, per cicatrici ed esiti di interventi.
– Le persone introverse possono non gradire la vita da spiaggia perché può risultare per loro iperstimolante. Esistono infatti delle differenze individuali relative al livello di attivazione del sistema nervoso, per cui le persone differiscono nelle preferenze per quantità e qualità degli stimoli ambientali. Chi ha un alto livello di attivazione interna (gli “introversi”) preferisce generalmente ambienti meno stimolanti, più tranquilli, più silenziosi e rilassanti. Gli estroversi, al contrario, solitamente prediligono luoghi più aperti, più ricchi di stimoli nuovi e di occasioni di aggregazione.
– Le esperienze dell’infanzia e le abitudini familiari possono influenzare le preferenze: essere stati costretti ad andare al mare controvoglia da piccoli può suscitare avversione; all’opposto, essere stati abituati a passare piacevoli vacanze in altri tipi di contesti come la montagna o le città d’arte può rinforzare questo tipo di scelta anche da adulti.
– La difficoltà a raggiungere il posto per la lontananza geografica, per il traffico, per le difficoltà di trovare parcheggio può scoraggiare la scelta di recarsi al mare.
– Un costo troppo elevato degli stabilimenti balneari, il troppo poco spazio personale a disposizione negli stabilimenti, la difficoltà a reperire una spiaggia libera possono scoraggiare la scelta del mare come meta di svago e ferie.
– Organizzare la permanenza al mare può risultare stressante, in particolare per chi ha figli piccoli, per la necessità di vigilare costantemente, gestire bagni e cambi, trasportare il materiale per il bagno e il gioco, gestire docce e lavaggio dei capelli al rientro, ripulire indumenti e ambienti dalla sabbia.
In altri casi, è l’ambiente marino in sé a suscitare avversione o non risultare particolarmente attraente:
– Il paesaggio è monotono: ad alcune persone, una distesa enorme di acqua non trasmette emozioni particolari, oppure trasmette sensazioni negative e angoscia. Preferiscono un ambiente più variegato come quello montano o cittadino con maggiori stimoli.
– Caldo, afa, sudore, sole, vento, salsedine e sabbia possono risultare fastidiosi. Il caldo può procurare malessere, soprattutto a chi ha la pressione bassa o altre condizioni fisiche particolari; l’effetto della salsedine su pelle e capelli può infastidire; dover fare attenzione a proteggersi dal sole, specialmente per chi ha un fototipo a rischio, può diventare una scocciatura.
– Per alcune persone l’aspetto, il sapore, l’odore dell’acqua del mare è sgradevole e il pensiero di ciò che contiene (urina, carcasse di animali, rifiuti…) rende poco allettante entrarvi per fare il bagno.
– Alcune persone hanno una fobia del mare. Si tratta di un disturbo psicopatologico che rientra tra le fobie specifiche ed è detto anche talassofobia. La paura riguarda il mare aperto, quello dove non si tocca il fondo e dove non c’è nulla a cui appigliarsi, perciò chi ne è affetto è restio ad allontanarsi dalla riva, a fare il bagno, a nuotare al largo, a navigare, e se costretto a farlo prova paura, ansia, panico e manifestazioni fisiche di ansia come tachicardia, vertigini, nausea, tremori. L’origine della fobia può essere rintracciata in traumi, come aver rischiato l’annegamento o aver assistito a incidenti in mare accaduti ad altri, nella scarsa conoscenza e scarsa dimestichezza con l’ambiente marino, nella trasmissione della paura da parte dei genitori. La talassofobia viene interpretata anche come paura di lasciarsi andare e di lasciare che le cose accadano, di non avere il controllo, di dover affrontare situazioni impreviste, in quanto il mare rappresenta l’ignoto, il rischio di essere sommersi e di essere trascinati via, di incorrere in pericoli non visibili come rocce o buche o pesci aggressivi. Ciò che fa paura, quindi, è non poter avere la padronanza della situazione.
Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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