JESI – “Partigiano è il contrario di neutrale, è chi sceglie di stare da una parte, di non essere indifferente” scrivono Gad Lerner e Laura Gnocchi su Noi ragazzi della libertà. I partigiani raccontano, libro edito da Feltrinelli lo scorso 2021. Come si può oggi, nel 2022, spiegare alle giovani generazioni cosa è stata la Resistenza? Come si può descrivere, senza scadere nel nozionismo, i fatti che portarono 77 anni fa alla liberazione dell’Italia? Per cercare di capire come sfuggire alla retorica e rinnovare questa data simbolo con una nuova narrazione, noi di CentroPagina abbiamo intervistato la prof.ssa Tania Pisani, docente di Lettere in forza dal 2011 al Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Jesi ma con una esperienza nei licei delle Marche iniziata già nel 2000.
Che significa oggi, nel 2022, soprattutto alla luce dei drammatici fatti che stanno avvenendo in Ucraina, festeggiare l’anniversario della Liberazione d’Italia?
«Il conflitto in Ucraina ha riaperto il dibattito e la riflessione sul tema della guerra perché della guerra ci siamo finalmente accorti. Ci sono state e ci sono tante guerre in corso nel mondo, ma non ce ne arrivano le narrazioni. Questa, invece, con gli aggiornamenti quotidiani, con la creazione anche di un’epica eroica è entrata nelle nostre case richiamandoci ad un tema che vorremmo relegare ad un passato ormai lontano. Le assurdità delle distruzioni, le miserie che colpiscono soprattutto civili questa volta in una parte di mondo che ci assomiglia, risvegliano le nostre coscienze o dovrebbero farlo. In questo momento storico festeggiare l’anniversario della Liberazione d’Italia significa ricordare un conflitto tutto nostro, significa risvegliare la memoria dormiente dei luoghi dove si è combattuto per la libertà. La guerra non è mai intelligente, non costruisce mai, distrugge sempre. Ma dentro questa perversione che sembra essere connaturata nell’animo umano visto che la storia non ne ha mai fatto a meno, a volte sorgono, maturano quelle idee sulla base delle quali si andrà a costruire il futuro. Questo è il senso della Liberazione, quello di essere il seme della nostra Costituzione, il seme del nostro presente».
Questa ricorrenza, come altre, rischia di sbiadire nel tempo ed essere percepita in maniera edulcorata dalle nuove generazioni: come possiamo restituirgli una narrazione che sia efficace? In pratica, come si racconta la Resistenza ai ragazzi di oggi?
«Raccontare la Resistenza è raccontare che c’è stato un tempo in cui le giovani generazioni prendevano una posizione, sceglievano di sentirsi parte di un gruppo per la difesa di un’idea ed è fondamentale in un’epoca come la nostra in cui ai giovani fa paura tutto ciò che può essere definito “politico”, in cui si è perso il valore della partecipazione e dell’impegno e spesso ci si isola entro confini in cui prevale il narcisismo e l’egoistico perseguimento dei propri obiettivi personali senza l’idea di un progetto condiviso. La memoria legata ai luoghi a noi più vicini è sicuramente il modo più diretto attraverso il quale si arriva all’interesse dei ragazzi come pure lo studio della toponomastica che ci racconta di vite comuni, di storie che potrebbero essere le nostre. Lavorare sulla ricerca storica, scoprire ogni anno piccole nuove memorie permette di superare la retorica ed acquisire la coscienza di una Storia fatta di tante piccole storie».
Il 25 aprile, nonostante rappresenti una festa nazionale, nel corso degli anni è stata spesso politicizzata e celebrata con sensibilità diverse da destra e sinistra, cosa ne pensa?
«Ritengo che nel corso degli anni la celebrazione del 25 aprile si sia evoluta con l’evolversi del pensiero politico. Ricordo il periodo in cui questa ricorrenza era così carica di eroismo da animare i nostri animi giovanili. Progressivamente, anche grazie a studi storici seri, ci è stata restituita una maggiore veridicità di questa esperienza, che non ha sottratto nulla al suo valore, anzi se possibile lo ha arricchito. Oggi si percepisce forte il tentativo di messa in discussione di tutti i valori fondamentali che ci hanno accompagnato nella costruzione della nostra democrazia. Una pericolosa deriva verso “ismi” di nuovo conio in nome di una post-verità sostenuta dai più beceri populismi. Leggo di “buonismo”, “pacifismo” e credo che proprio contro queste distorsioni il valore della Liberazione dell’Italia debba essere ribadito come valore fondamentale, trasversale, condiviso e condivisibile da ogni forza politica. L’accezione estremistica che viene spesso attribuita all’ANPI non ha ragione di essere. La Resistenza nasce come connubio di forze politiche, ideali, culture diverse per la difesa di un valore comune: la libertà. Lo scardinamento delle ideologie tradizionali oggi ha creato una grande confusione anche lessicale per cui si parla con molta leggerezza di dittatura, fascismi in contesti del tutto inadeguati. Proprio per questo ancora più che in passato la commemorazione, che vuol dire riportare alla memoria insieme, è fondamentale».
Non mancano in questi giorni i parallelismi tra la Resistenza italiana di quegli anni e quella ucraina di oggi: la reputa una semplificazione eccessiva oppure è presente qualche analogia?
«Reputo che tutto ciò che possa essere detto o scritto in questo momento rispetto alla guerra in Ucraina sia una inevitabile semplificazione. La complessità del quadro politico internazionale e la vicinanza a questo episodio storico ci impediscono di potere formulare un giudizio sufficientemente obiettivo, tanto più in un’epoca in cui i confini della verità diventano sempre più labili e attraverso la Rete, grazie alla quale ci siamo illusi di poter conoscere tutto, in realtà siamo finiti a non saper riconoscere più nulla».