JESI – Quarantadue anni vissuti nel manicomio più grande d’Europa, a Santa Maria della Pietà di Roma sono stati accolte fino a 3mila persone. Con grande lucidità Alberto Paolini ha raccontato agli studenti jesini quegli anni in cui “Avevo solo le mie tasche”, titolo del suo libro.
Questa mattina nella sala della II Circoscrizione San Francesco di Jesi, Alberto Paolini 85 anni ha raccontato la sua storia, la storia d’Italia. Ha potuto scrivere i suoi pensieri solo su piccoli frammenti di carta che nascondeva nelle tasche, mentre vedeva altri giovanissimi come lui finire in manicomio. «Avevo 15 anni quando sono arrivato a Santa Maria della Pietà – ha raccontato – C’erano padiglioni dove eravamo ricoverati e uno detto “padiglione di cura” dove si praticava l’elettroshock terapia, i medici erano entusiasti, dicevano che guariva la malattia mentale. Avevo visto praticarlo su un ragazzo, il suo corpo contorcersi ed avevo molta paura». Paolini è finito in manicomio senza una diagnosi, era rimasto orfano in tenera età e dopo aver passato alcuni anni con le suore – «ci picchiavano e ci insultavano» – e poi con i salesiani – «venivamo trattati molto duramente» – ha varcato la soglia di Santa Maria della Pietà che aveva 15 anni, da qui è uscito nel 1990 dopo 42 anni. Vicende della vita che hanno portato introversione e timidezza, scambiate probabilmente per un comportamento non consono per la sua età tanto da dover essere internato. «Erano gli anni della guerra, a Roma molte famiglie non avevano di che mangiare, si ammalavano per il freddo e a Santa Maria arrivavano tantissimi ragazzini, così tanti che non si sapeva dove metterli».
La novità è arrivata con Franco Basaglia: le idee dello psichiatra più famoso del secolo scorso, prima di diventare la Legge 180, hanno infiammato molti infermieri dei manicomi. Tra questi Adriano Pallotta, ex infermiere del manicomio romano, diventato amico di Paolini: «Più che paramedici il nostro ruolo era quello di aguzzini – ha detto agli studenti in un messaggio video – Un gruppo di infermieri, mossi dalle idee basagliane, hanno occupato uno dei padiglioni di Santa Maria e messo forchette e coltelli a tavola per tutti i pazienti (potevano usare solo i cucchiai, ndr). Altri esempi di ribellione ci sono stati, seppur condotti da piccoli gruppi». L’incontro cui hanno partecipato le terze classi del Liceo Economico Sociale e le quarte dell’Iis Galilei di Jesi, rientra nella rassegna “malati di Niente” organizzata dalla rete del Sollievo: «Alberto ora vive in una casa famiglia – ha spiegato Gilberto Maiolatesi coordinatore del servizio Sollievo – Ma ci mette in guardia: con la legge non si fa la rivoluzione, tutto cambia per non cambiare. Agli studenti vogliamo dire che i manicomi sono stati una delle vergogne più grosse dell’essere umano, una realtà totale e perversa che invece di curare faceva ammalare le persone. I manicomi, però, non sono solo luoghi fisici: nel momento in cui alziamo un muro nei confronti degli altri abbiamo un manicomio nella testa. Abbattete i pregiudizi, il contesto sociale in cui viviamo non crea legami, non crea socialità di cui l’essere umano ha bisogno». Ecco il legame tra una storia di tanti anni fa e l’attualità.