Una lunga conferenza in cui i volti sono diventati storie. Così Amnesty International ha “incontrato” gli studenti dell’IIS Marconi-Pieralisi di Jesi, che all’associazione nel suo 60esimo compleanno, ha dedicato intensi momenti di riflessione.
Venerdì, 28 maggio, studenti e docenti hanno piantato un albero dai fiori gialli, il colore di Amnesty International, nel giardino dell’Istituto. Sabato mattina, 29 maggio, tutti gli studenti hanno prodotto degli elaborati riflettendo sul tema della libertà di espressione/stampa e su quegli attivisti che in tutto il mondo hanno pagato o stanno pagando la loro voglia di libertà. Non a caso il titolo dell’assemblea d’Istituto è “Accendiamo la luce”.
Ospite dell’Istituto di via Sanzio, Arianna Burdo, referente per Amnesty gruppo di Ancona che ha raccontato la storia toccante della famiglia Assan: padre, madre e cinque figli che sono arrivati in Italia grazie al corridoio umanitario e adesso vivono ad Ancona. «Sono fuggiti dalla guerra in Siria – ha detto – hanno fatto una scelta dolorosa ma coraggiosa. Il padre, che parla solo arabo, ci ha ringraziati per la possibilità che Amnesty stava dando ai suoi figli». Proiettato anche il trailer del docu-film “Alla mia piccola Sama” uscito a febbraio 2019 e presentato anche ad Ancona, storia di due giovani di Aleppo – lui specializzando in medicina e lei documentarista – che decidono di restare e fare la loro parte. La ragazza, documenta con una telecamera gli orrori della guerra, lui si mette a disposizione per curare i malati e medicare i feriti.
Toccante anche la vicenda del cantante Rami Assan incarcerato insieme alla sua band musicale e al regista del videoclip per aver detto cose false sul presidente del governo egiziano, costata loro la carcerazione preventiva. In quel carcere per i prigionieri politici di Tora il 1 maggio 2020 è morto a soli 22 anni il regista del videoclip Shady Habash, detenuto senza processo dal 2018, colpevole di aver realizzato un video ironico contro il presidente Abdel Fattah al-Sisi. Tra le tante storie emerse nel corso della mattinata, anche quella di Giulio Regeni, dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, assassinato e ritrovato senza vita il 3 febbraio nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Il corpo presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre lo riconobbe «dalla punta del naso» e disse di aver visto nel volto martoriato del figlio «tutto il male del mondo».
Amnesty ha lanciato una campagna di informazione e verità per sostenere i genitori di Regeni, così come battaglia per Patrick George Zaki, attivista e ricercatore egiziano, che si trova dall’8 febbraio 2020 in detenzione preventiva. Rischia fino a 25 anni di carcere per 10 post di un account Facebook che istigherebbero alla protesta. Per la sua liberazione, Amnesty ha lanciato una campagna ritenendo che sia un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media. Tutti i volti e le storie di diritti umani violati nel mondo sono stati elaborati dagli studenti che hanno poi realizzato un planisfero, indicando le zone dove si sono perpetrati maggiormente crimini contro la libertà di stampa/espressione.