ANCONA – Tornano a casa i quattro writer italiani arrestati il 2 ottobre scorso in India per aver imbrattato con dei graffiti alcune carrozze della metropolitana di Ahmedabad, in Gujarat. Due di loro writer sono marchigiani, si tratta di Sacha Baldo di Monte San Vito e di Paolo Capecci di Grottammare, gli altri due abruzzesi. I quattro giovani sono attesi oggi 1 febbraio a Roma.
Il sindaco di Monte San Vito, Thomas Cillo parla di «una bella notizia in particolare per la famiglia che è stata molto preoccupata e in apprensione. Dopo mesi il ritorno è una notizia di sollievo e la definizione, seppur parziale visto il processo ancora in corso, di una vicenda che sin dall’inizio si era prospettata complessa».
«Con il ritorno a casa dei ragazzi termina un calvario durato diversi mesi – commenta il sindaco di Grottammare Enrico Piergallini – la nostra comunità ha vissuto con grande apprensione questa vicenda che ha segnato la famiglia del nostro concittadino».
Il processo per i giovani, assistiti dagli avvocati teramani Vito Morena e Francesca Di Matteo, non si è ancora concluso, ma intanto i quattro writers italiani hanno ottenuto dalle autorità indiane il permesso di poter rientrare a casa. Ad ottobre erano stati rilasciati su cauzione dopo il pagamento di una sanzione pecuniaria.
«I ragazzi stanno rientrando – conferma il legale Francesca Di Matteo che insieme all’avvocato Vito Morena, assiste i quattro giovani italiani. Le accuse di terrorismo erano cadute fin da subito – spiega – possono lasciare l’India e rientrare a casa, nonostante il processo non sia ancora concluso, in seguito all’accoglimento di un ricorso con cui ne è stato chiesto il rientro in Italia». Poi ci saranno le udienze del processo.
Due i ricorsi presentati dai legali, uno alla corte di Mumbaj e l’altro alla corte del Gujarat per consentire «il rientro temporaneo in Italia dei quattro giovani per motivi di lavoro», spiega l’avvocato Vito Morena. «I ragazzi stanno bene – aggiunge il legale – e sono liberi dal 15 ottobre scorso, l’unica restrizione che avevano era quella di non poter lasciare il territorio indiano nell’attesa dell’esito del processo. Visto il rischio per loro di perdere il lavoro, unica fonte di reddito, abbiamo presentato i ricorsi. Le famiglie sono state avvisate del rientro a casa – conclude – e sono contente. Anche noi legali siamo soddisfatti. Ora resta da superare il gap culturale, perché se nel nostro Paese la vicenda è stata vista più come una bravata, in India è stata presa molto sul serio».