JESI – «Sono 556 i chilometri sotto i piedi, ne rimangono 260. E poi sarò a Santiago di Compostela».
Andrea Esposto, lo jesino cinquantenne sui sentieri del millenario cammino, iniziato il 2 maggio – e che da allora stiamo seguendo – ci dà le ultime notizie da Leon, Spagna, il giorno prima di percorrere ancora l’ennesima tappa sulla tratta del “Caminho Frances”.
Sta andando a letto, al risveglio ci saranno 32 chilometri da fare.
Dopo 18 giorni trascorsi insieme – ci informa – il loro gruppo occasionale si è sciolto.
«Io e altri due ragazzi abbiamo allungato sino a Leon lasciando indietro Veronica, Andrea, Nicola e Daniele con i quali ho trascorso piacevoli momenti e condiviso il percorso. Compagni di viaggio fantastici».
Lui, il “nostro”, che simpaticamente chiamano “lo zio”, ha fretta, deve andare più veloce per terminare secondo programma.
«Cuore a pezzi, mi è dispiaciuto tantissimo lasciare i “miei ragazzi”, e anche se non completeremo il Cammino insieme so che tra noi si è stabilito un legame unico, che solo qui puoi trovare, un legame incredibile. E so anche che un giorno ci ritroveremo tutti per condividere insieme i ricordi di questa fantastica avventura».
Ma il Cammino è fatto di tante cose, che ti piovono addosso quando meno te lo aspetti.
«Arrivati a Leon abbiamo percorso 17 km per trovare un rimedio a uno di noi che ha avuto problemi ai piedi. E quando avevamo perso ogni speranza abbiamo trovato la soluzione. Lui è tornato a camminare quasi senza sentire più dolore».
Di giorno macinano chilometri e la sera si formano quasi sempre nuovi gruppi con i quali è un continuo brindare con i calici di vino tinto, come dicono lì.
«Sai, le mesetas, anche se molto suggestive, dopo qualche giorno diventano monotone. I pensieri lì corrono, nascono e muoiono, a volte sembra di stare sul desktop di Windows. E quando ci si ferma, ci si ritrova, stanchi ma felici di essere arrivati, è sempre una festa».
«Il Cammino dà e toglie. Toglie, per vari motivi, compagni di viaggio per poi dartene dei nuovi con i quali continuare. Quando negli albergue si ha la possibilità di cucinare ci improvvisiamo tutti provetti cuochi. Ed è proprio quando il più delle volte ciò che abbiamo a disposizione per cucinare, e mi riferisco a pentole e ingredienti, scarseggia, allora prorompe l’estro italiano con i piatti più assurdi. Ma la fame, come si sa, fa sembrare tutto più buono. Il più delle volte ci troviamo a condividere la tavola con ragazzi di nazionalità diverse che a loro volta cucinano qualcosa del loro Paese».
«Adesso è ora di lasciarti, devo riposare… Ci sentiamo».
Buon Cammino, Andrea.