JESI – Fare l’imprenditore in Italia significa essere un «pazzo scatenato». Andrea Pieralisi, amministratore delegato di Monteschiavo-Tenute Pieralisi srl società agricola, non usa giri di parole per spiegare cosa comporta guidare un’azienda, oggi, in questo Paese. Com’è suo solito.
Con i suoi 350 ettari tra vigneti, oliveti e seminativi, tutti di proprietà, Tenute Pieralisi è una delle realtà agricole più importanti della regione Marche. Il comparto vitivinicolo rappresenta il settore più importante dell’Azienda che può contare su un patrimonio di 103 ettari di vigneti. La gamma dei prodotti è composta dal Verdicchio dei Castelli di Jesi, proposto in tutte le sue varianti compresi lo spumante brut ed il passito, dal Rosso Piceno, dal Lacrima di Morro d’Alba, dal Rosso Conero e dall’Esino Rosso. Oltre al vino, l’Azienda, il cui marchio principale è appunto Monteschiavo, è impegnata nella produzione di olio extra vergine di oliva di alta qualità, grazie ai 60 ettari di oliveti di proprietà. Nata nel 1978 come cooperativa agricola, Monteschiavo appartiene infatti dal 1995 alla famiglia Pieralisi, leader mondiale nella produzione di macchine per l’estrazione dell’olio di oliva, che ne ha fatto un’Azienda di rigorosa filiera corta in grado di gestire direttamente tutto il ciclo produttivo.
Pieralisi, cosa significa essere oggi un imprenditore?
«Chi è un imprenditore in Italia? Un pazzo scatenato, che ogni giorno ha a che fare con una miriade di leggi, di controllori, di gente che impone regole spesso senza conoscere il settore di competenza, di una tassazione alle stelle priva di riconoscimenti e agevolazioni da parte statale. Gestire un’attività in privato, oggi, è sempre più complesso e, a volte, nemmeno l’impegno e la competenza sono sufficienti per raggiungere i risultati. L’Italia non è certo un Paese in cui fare l’imprenditore sia stimolante. O stimolato».
Come sta l’economia nazionale?
«L’Italia sta malissimo. Sta così perché l’Europa sta male. Il concetto di mercato unico, moneta unica e macroregione unica europea, come ipotizzato da Prodi e colleghi, è fallito. Va ripensata in brevissimo tempo questa nuova Europa. Di sicuro, senza di essa, come dimostra l’Inghilterra, si rischia di peggiorare ulteriormente».
Cosa bisognerebbe fare?
«La tassazione, innanzitutto, dovrebbe essere europea. Urge un sistema di contribuzione unico, valido per tutta l’Europa, così da produrre opportunità e entrare con più facilità in tutti i mercati. Invece è una competizione continua tra Paesi, spesso nemmeno troppo leale. Ogni nazione, infatti, cerca di accaparrarsi questo o quel favore a scapito dell’Europa. E il continente affonda. Sono convinto al contrario che, partendo proprio dalla tassazione unica, tutto il meglio verrà da se».
La crisi economica, dunque, non è alle spalle..
«Assolutamente no, siamo in piena crisi. I tassi di interesse bassissimi e fermi lo confermano. Spero comunque che a nessuno venga in mente di agevolare gli aumenti degli stessi, sarebbe il baratro totale. Questa congiuntura economica, ripeto, non va fronteggiata a livello nazionale, ma va combattuta a livello europeo, l’unione dei Paesi fa la forza perché da soli si può fare poco o nulla. Noi, fra l’altro, paghiamo anche questa atipicità organizzativa dello Stato, frastagliato in Comuni, province, che non si sa se ci siano ancora, e regioni, che vorrebbero fare tutto poi non sanno fare niente».
Qualche esempio?
«Il settore agricolo. I Piani europei di sviluppo rurale vengono gestiti diversamente da regione a regione, e in molti casi da persone che non hanno mai messo piede in un campo. Noi imprenditori agricoli ascoltiamo gli annunci, magari ci organizziamo, e i fatti esecutivi poi non arrivano. Si produce, pertanto, il deleterio “effetto annuncio”, devastante per chi produce impianti. I clienti si trovano ad attendere un bando che non esce e posticipano gli investimenti. Così si ferma tutto».
Qual è invece l’andamento del settore enologico regionale?
«L’enologia marchigiana ha fatto passi da gigante, non troviamo più un vino cattivo, ma tante tipologie di prodotto che si differenziano nelle caratteristiche più o meno spinte dei vari disciplinari di produzione. In termini di promozione è stato fatto tanto, grazie soprattutto al consorzio Imt (Istituto Marchigiano di Tutela Vino) che racchiude 323 aziende. Ma ciò ancora non basta perché quando si va fuori a vendere il vino, e si pronuncia la parola “Marche”, il 99% delle persone risponde “Roma?”. Siamo ancora troppo slegati dal territorio di riferimento, che dovrebbe al contrario essere il nostro motore. La qualità della vita nelle Marche, i paesaggi, la genuinità giocano un ruolo fondamentale nella vendita del prodotto alimentare. Va fatto molto di più da parte della regione Marche per divulgare e promuovere le nostre bellezze attraverso politiche mirate. Il prezzo medio ancora troppo basso del Verdicchio non è dovuto infatti alla mancanza di qualità, che è invece ai massimi livelli mai toccati, bensì dalla carenza di rappresentatività territoriale»
A Jesi sta per aprire il Polo Enogastronomico Regionale. Si può partire da qui?
«Sicuramente. Nelle Marche abbiamo un’arca chiamata Verdicchio. All’interno di essa dobbiamo posizionare tutte le altre eccellenze, dagli oli dop e igp, alla cicerchia, fino alla pasta artigianale e al tartufo, etc. Tutto questo nel polo enogastronomico può trovare un impulso molto vigoroso per raggiungere turisti e mercati mondiali. Sono fiducioso: potremmo vedere alcuni sbocchi commerciali molto interessanti».