JESI- C’è molto di più che un tradizionale segno di Natale dietro l’addobbo di un particolare albero o di un originale presepe allestiti nella hall dell’ospedale “Carlo Urbani”. C’è voglia di trasmettere speranza, fede, gioia e attaccamento alla vita.
È una carezza sul cuore dei malati e dei loro familiari l’addobbo che ogni dicembre arricchisce l’ingresso dell’ospedale cittadino grazie all’idea della tecnica radiologa Catia Badiali e di una dottoressa della Radiologia cui si devono le riflessioni letterarie e i temi scelti a ogni edizione. Quest’anno, chi arriva al “Carlo Urbani” si trova di fronte un albero di Natale realizzato con 30 angeli dorati ed eterei, un piccolo esercito realizzato riciclando le bottiglie del liquido delle flebo, pulite e decorate. Sono gli “Angeli della speranza”, esattamente come tutti quegli infermieri, medici, Oss e addetti che da marzo combattono contro il Covid, difendendo come veri angeli custodi, i pazienti dal nemico invisibile.
«È anche un modo per ringraziare tutti coloro i quali, nell’esercizio delle più disparate professioni o nel compimento di tanti gesti volontari, in quest’anno di pandemia, hanno accompagnato le nostre vite, ci hanno saputo donare uno sguardo affettuoso, un conforto, un aiuto, hanno reso migliori le nostre vite», dice Catia Badiali. Questi angeli, realizzati riutilizzando bottiglie di soluzione fisiologica utilizzate in ospedale, sono anche – nessuno escluso – tutti gli operatori sanitari che con la loro professionalità, sacrificio e dedizione, hanno salvato tante vite.
«Dalle parole di Papa Francesco tratte dalla meditazione in occasione del momento di preghiera per la fine della Pandemia – spiega ancora Catia – da settimane sembra sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite… Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca, ci siamo tutti. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri».
Questo è il quarto anno che Catia Badiali e la dottoressa si impegnano per realizzare l’allestimento natalizio solidale. «L’idea è nata da una mia esperienza dolorosa e di sofferenza – racconta Catia – purtroppo io e mio marito abbiamo dovuto frequentare il Policlinico Gemelli anni fa e vedevo sotto Natale quei grandi alberi addobbati e i presepi realizzati dagli artisti. Io che andavo in quel luogo per combattere la sofferenza ho tratto sollievo, conforto in quella bellezza e ho voluto riproporre lo stesso nel mio ospedale. All’inizio, nel 2017, con un piccolo presepe stilizzato, poi l’anno successivo con una decorazione fatta con i rotoli di moquette usata in sala operatoria per un “Natale senza scartare” quando lo scartare era inteso come regali perché in ospedale non vengono portati i doni; scartare come riciclare e scartare nel senso di non mettere da parte le persone. Nel 2019 abbiamo realizzato un albero con le scatole dei ferri chirurgici per la “Rivoluzione della tenerezza”. Ora i nostri angeli della speranza, molto graditi dalle persone e in vendita (5 euro che serviranno a finanziare l’allestimento del prossimo anno). Sappiamo che alcuni quando passano davanti al presepe si fanno il segno della croce. È un modo per essere tutti più vicini».
Catia fa parte del gruppo “Missione del rinnovamento dello spirito”, movimento di preghiera della chiesa, e non è nuova a iniziative di carità e di preghiera dentro all’ospedale. Negli anni scorsi, prima che la pandemia costringesse a scendere tutti in trincea senza contatti umani, dicembre era un susseguirsi di iniziative per i malati, dalla distribuzione di cartoncini augurali con frasi di speranza e cioccolatini, al presepe vivente in corsia in cui venivano coinvolti anche 20/30 operatori. C’erano gli zampognari, il concerto del coro dopo la santa messa celebrata dal vescovo nella hall dell’ospedale. E c’erano gli incontri di preghiera. «Quelli li facciamo ancora, ogni martedì conclude Catia Badiali – non più nella cappellina dell’ospedale ma in altre chiese e preghiamo per i malati, per le loro famiglie e per noi affinché dove non arriva la medicina possa arrivare la mano di Dio».