JESI – Trenta mila euro di contributo da parte della Fondazione Cariverona al progetto di mostra dal titolo “Raffaello e Colocci. Bellezza e scienza nella costruzione del mito della Roma antica”. L’esposizione, dedicata ai rapporti fra il grande artista urbinate e l’umanista jesino che ne condivise parte degli anni nella Roma del Rinascimento, rientra nel programma di iniziative della Regione Marche per le celebrazioni del quinto centenario della scomparsa (1520-2020) di Raffaello.
Ma è un progetto da rivedere al ribasso, almeno per quanto riguarda i costi, quello della mostra jesina: Cariverona concederà solo 30 mila dei 90 mila euro richiesti con l’istanza di contributo di piazza Indipendenza. E così l’importo complessivo del programma si contrae a meno di un terzo. Ovvero non più 150 mila ma solo 46 mila euro.
La realizzazione della mostra dovrà essere conclusa entro 18 mesi a decorrere dalla data di accettazione del contributo, avvenuta a inizio agosto da parte della Giunta.
Nel rapporto fra grandi “marchigiani” alla corte dei Papi del Rinascimento, si inserisce la suggestiva idea della presenza di un ritratto di Angelo Colocci, intellettuale jesino e segretario di Pontefici, fra i personaggi del suo tempo inseriti da Raffaello Sanzio nel celeberrimo affresco della “Scuola di Atene”, vanto dell’arte mondiale nella Stanza della Segnatura in Vaticano. Nell’opera personaggi “mitici” e icone del Rinascimento come Leonardo e Michelangelo sono rappresentati delle vesti dei grandi sapienti dell’antichità. Fra di loro, secondo l’ipotesi avanzata dall’anconetano Giorgio Mangani, storico del pensiero geografico e della cartografia, nel volume “La bellezza del numero. Angelo Colocci e le origini dello stato nazione”, ci potrebbe essere anche Colocci, col suo peso di ideologo politico- culturale all’interno della corte pontificia fra Giulio II della Rovere, Leone X e Clemente VII de’ Medici.
Nella “Scuola di Atene”, Raffaello identifica Leonardo con Platone, Bastiano da Sangallo con Aristotele, Michelangelo con Eraclito o Democrito. Lo jesino Colocci, secondo lo studio di Mangani, sarebbe il personaggio esotico che, sulla destra dell’affresco, indossa un cappello da mago e tiene in mano un globo stellato: il Sanzio gli avrebbe riservato il ruolo di Zoroastro, profeta mistico persiano fondatore dello zoroastrismo, antica religione iranica. In quella parte di affresco il soggetto identificato con Colocci si trova a tu per tu con l’autoritratto di Raffaello e vicino al Bramante, raffigurato come Euclide o Archimede. Un trio di big “marchigiani”, nella élite di quella Roma fra il 1509 e il 1510, anni di realizzazione dell’opera. Ma secondo Mangani il Colocci, esponente di una delle più antiche famiglie patrizie jesine, alto funzionario dell’amministrazione pontificia, riscopritore e collezionista di antichità, bibliofilo ma anche studioso di numerologia, cosmologia e geografia, sarebbe stato l’ispiratore stesso dell’intera idea politico-filosofica alla base della “Scuola di Atene”.