Jesi-Fabriano

Jesi, l’inferno di un disabile col Covid. La denuncia: «All’ospedale Urbani oltre un’ora di attesa»

La cugina del 46enne: «Il medico curante non è venuto a visitarlo. L'abbiamo dovuto portare in ospedale, l'hanno fatto aspettare a bordo di un'ambulanza. Poi siamo dovuti tornare a casa»

L'ospedale Carlo Urbani di Jesi

JESI – «Mio cugino disabile grave e l’odissea per una visita legata al Covid». La denuncia ci arriva da una donna residente in Vallesina, a circa dieci giorni di distanza dall’accaduto. Ci ha riflettuto bene prima di contattare la redazione di CentroPagina.it, ma poi ha deciso di farlo.

«Sono una di quelle persone – ci dice – che ama sottolineare non solo le cose negative del nostro sistema sanitario, ma anche e soprattutto quelle positive. L’ho sempre fatto, ma oggi sono davvero indignata». La donna comincia a snocciolare la vicenda: «Era sabato mattina e mio cugino di 46 anni, affetto da una grave forma di disabilità, si è svegliato e non stava bene. Era rosso in volto e benché non riuscisse ad esprimersi al meglio, faceva capire di faticare a respirare. Aveva la febbre e mia zia (la mamma del 46enne, ndr) l’ha sottoposto ad un test Covid, in seguito al quale è risultato positivo».

Immagine di repertorio (Adobestock)

Così, la famiglia ha chiamato il medico curante: «Ci ha detto di non poter venire a casa per visitarlo e ci ha consigliato di chiamare l’ambulanza, che l’avrebbe portato al pronto soccorso dell’ospedale Carlo Urbani di Jesi. E già qui – evidenzia la donna – c’è qualche sintomo di mala gestione, perché sappiamo tutti che i pronto soccorso non vanno intasati. Specialmente per una patologia, qual è quella del Covid, con cui conviviamo da quattro anni. Tra l’altro, gli ospedali sono a corto di personale e hanno mille problemi a cui far fronte».

Fatto sta che il 46enne, in compagnia dei genitori ultra 80enni, viene caricato in ambulanza e portato in ospedale (dopo mezz’ora di trattative perché non voleva salire): «Appena arrivati, al personale è stato spiegato che mio cugino aveva una grave forma di disabilità ed era risultato positivo al Covid. Così, ci hanno detto di attendere a bordo dell’ambulanza. Ha aspettato circa un’ora e mezza e poi lui ha iniziato a innervosirsi, è voluto scendere».

Il 46enne stava quindi aspettando nell’area dove parcheggiano i mezzi, ma gli operatori del Carlo Urbani – secondo il racconto della familiare – l’hanno invitato a salire nuovamente sul veicolo: «Hanno detto che benché indossasse la mascherina sul volto, non poteva restare là, ma doveva nuovamente salire. Lui non ha voluto e abbiamo dovuto riportarlo a casa con la macchina».

È stato il medico della continuità assistenziale ad andare a casa e a visitarlo: «Il giorno dopo, abbiamo chiamato la Guardia medica che è venuta a casa ad auscultare i polmoni». La cugina del 46enne, quindi, evidenzia un duplice problema: «Le pare normale che a casa venga il medico di Guardia e non il curante? E poi se in ospedale non diamo la precedenza ad anziani e disabili, allora a chi dovremmo darla? Bastava farlo entrare al pronto soccorso ed auscultare i polmoni. Come si fa a far aspettare un soggetto come mio cugino dentro un’ambulanza per un’ora e mezza? I medici non ci avrebbero impiegato tanto. E poi, dai, ormai il Covid andrebbe gestito diversamente».