Si apre domani il Ramadan, il mese sacro musulmano dedicato alla preghiera, in commemorazione della prima rivelazione del Corano a Maometto. Per la comunità dei fedeli, a Jesi la preghiera inizia già da stanotte, nella nuova sede del centro culturale islamico “Al Huda”, in via del Cascamificio. Dalla elegante porta decorata in stile marocchino, da cui si accede alla grande sala della moschea, non entreranno le polemiche social di questi giorni, quelle seguite al taglio del nastro del 23 marzo alla presenza delle autorità cittadine e di molti jesini, non tutti e non solo musulmani.
Per chi non lo avesse saputo, dopo la cerimonia di domenica, su un gruppo Facebook, alcuni leoni da tastiera si sono presi la briga di indirizzare parole d’odio verso la comunità islamica, e minacce al sindaco e alla giunta, rei, secondo loro, di aver finanziato la realizzazione della moschea.
Si tratta di una doppia fake news, visto che: 1) la nuova sede del centro non ha ricevuto un euro di fondi pubblici, per anni i fedeli si sono autotassati per poter acquistare e sistemare a loro spese il capannone da 850 metri quadrati. L’amministrazione ha semplicemente cambiato destinazione d’uso al capannone, prima area commerciale e ora dedicata ad attività sociali, dunque ha dato seguito ad una pratica amministrativa, in un quadro di rispetto delle normative e dei diritti costituzionali; 2) la moschea, anzi il centro culturale islamico a Jesi, non nasce ora, ma opera in città dal 2001, semplicemente dalla palazzina di viale della Vittoria si è spostato in una sede più nuova e più accogliente. Tanto accogliente che per le preghiere del periodo del Ramadan si potranno fare, finalmente, tutti insieme e non aspettando il proprio turno per trovare posto.

Stamattina la porta in stile marocchino dai mille colori si è aperta per me, grazie al presidente del Centro Culturale islamico El Anouar El Miloudi, e al coordinatore della Consulta per la Pace di Jesi, El Mostafa Drissi. Li ho voluti incontrare per avere una risposta ad una domanda semplice “Cosa volete dire ai leoni da tastiera che hanno lanciato, contro di voi e non solo, quelle parole tremende?”.
La risposta mi ha spiazzato: «Questo è un luogo aperto all’intera città. Non è solo dei musulmani, è di tutta Jesi. In questo centro culturale le porte sono aperte. Se chi ha scritto di noi vuole venire a conoscerci ne saremo lieti, offriremo un dolce, tè e parole in amicizia».
Che dire, mi hanno sorpreso. Mi aspettavo guerra ed è arrivato un sorriso. Un sorriso con qualche venatura di amarezza, sia chiaro, perché – mi racconta El Anouar El Miloudi – «non ci era mai capitato nulla di simile in questa città, è la prima volta che siamo stati colpiti da offese del genere. Insomma, non ce lo aspettavamo». E infatti, collaborando da anni con le istituzioni e le associazioni della Vallesina – la Caritas, Legambiente, l’Asp 9, i Comuni, i giovani di Jesi Clean, le scuole e tanti altri – si può dire che il centro “Al Huda” è da molto tempo ben integrato nel tessuto sociale della Vallesina.
Smorzata la punta alle polemiche, e tolte le scarpe per muovermi tra morbidi tappeti rossi della moschea, finalmente ho dato fiato alla mia vera curiosità, quella che mi ha portato in questo posto. Ovvero, che cosa si fa nel centro culturale islamico Al Huda?
«In questa moschea – spiegano El Anouar El Miloudi e Mostafa Drissi – si prega cinque volte al giorno, ogni volta per 10 minuti, dunque al giorno si prega qui per cinquanta minuti, meno di un’ora. Cosa facciamo nel resto del tempo? Tantissime attività, a servizio di tutta la comunità e non solo dei fedeli ma di chiunque ne abbia bisogno. Parliamo di corsi di alfabetizzazione e di certificazione L2 di lingua italiana e nei vari livelli, dai bambini agli adulti, lavoriamo fianco a fianco ai CPIA (ndr, i centri provinciali istruzione adulti inseriti dal ministero nella rete scolastica nazionale), collaboriamo con le scuole guida per dare sostegno a chi, non conoscendo ancora bene la lingua italiana, ha bisogno di un aiuto per capire bene le lezioni. Le attività dedicate ai bambini sono numerose, dal doposcuola al recupero scolastico, a quelle più legate alla nostra cultura, come i corsi nella lingua d’origine. La funzione di questo centro è anche tenere vivo il legame tra la cultura d’origine e le nuove generazioni. Ci sono corsi sulla sicurezza stradale, e apriamo le porte alle forza dell’ordine quando vogliono parlare dei vari temi legati alla sicurezza».
«Per la città – prosegue – sono altrettanto numerose le attività ed i progetti cui cerchiamo di collaborare, è una restituzione che vogliamo dare alla città in cui viviamo, nel rispetto delle regole e delle leggi di questo Paese. Collaboriamo alle iniziative di pulizia dell’ambiente, siamo andati tra gli anziani della casa di risposo portando piatti tipici musulmani, e – tra l’altro – durante il Covid abbiamo voluto ringraziare la comunità degli operatori sanitari di questa città donando il grande pannello fotografico che è nell’atrio dell’Ospedale Carlo Urbani».
Ora che siete più comodi in questi nuovi spazi potreste progettare nuove attività. Un corso per insegnare a fare il cous cous, ad esempio?
«Non c’è ancora una cucina, ma perché no…. si potrebbero fare tante cose. Ma è presto ora, siamo molto impegnati con il trasloco, intanto ci stiamo sistemando… Le nostre porte restano aperte, per tutti».




Capitolo donne. Che ruolo hanno nel centro culturale Al Huda?
«Senza di loro questo centro non sarebbe potuto nascere. Hanno collaborato in maniera molto attiva alla sua realizzazione e a sistemazione. Sono le donne, in particolare, quelle che più fruiscono dei servizi del centro culturale, come il sostegno alla patente e alla lingua, perché spesso non riescono a spostarsi con l’auto o hanno bambini piccoli, che qui possono portare con se’ mentre vanno alle lezioni. Inoltre, la maggior parte di chi insegna in questo centro è donna».
Una domanda. Nella vostra comunità ci sono persone che provengono da tante parti del mondo, come si fa ad andare tutti d’accordo?
«Intanto molti di noi hanno la cittadinanza italiana, siamo italiani – risponde Mostafa Drissi -. Ovviamente ci sono tante comunità di origine, ma non ci sono minoranze o maggioranze qui dentro, raramente assistiamo a qualche punto conflittuale, si opera nell’interesse di tutti. Come si fa ad andare d’accordo? Ha molto a che fare con chi amministra il centro, se la volontà è quella collaborare in pace e in serenità dipende dalla ‘testa’. E poi dipende da come è composto questo direttivo».
E cioè?
«Ci sono elezioni per nominare il presidente e nominare il direttivo, ma in generale si cerca di fare in modo che chi guida il centro culturale islamico Al Huda rappresenti tutte le componenti ‘geografiche’ della comunità dei fedeli che vivono a Jesi – fa sapere El Anouar El Miloudi -. Dunque tutti i Paesi sono rappresentati nel direttivo, dal Ghana al Pakistan, dalla Tunisia alla Turchia ai paesi dell’est Europa. Poi, se ci sono paesi affini per cultura e lingua, non è detto che tutti siano rappresentati, come nel caso del nord Africa, che ha espresso un paio di rappresentanti. Questo sistema è già la premessa per cercare, tutti insieme, il benessere di tutte le persone che fanno riferimento a questo centro».