JESI – «L’arte non è semplicemente un bel tratto, o una tecnica impeccabile. Ma è una riflessione antropologica su sè stessi e sul contesto nel quale viene plasmata». È indubbiamente questa la filosofia che guida gli occhi e le mani di Bob Money, artista jesino che esporrà una sua opera in occasione della mostra di Keith Haring a Osimo, realizzata proprio per omaggiare la leggenda del Graffitismo nel trentennale della sua scomparsa. «Per me è importantissimo esserci – ammette Bob Money (Roberto Quattrini) -. Innanzitutto perché è gratificante lavorare di nuovo con Gianluca Marziani, colui che cura l’evento, un dei critici più influenti e competenti in assoluto, e con il quale ho avuto il piacere di collaborare a Spoleto. Osimo ha intrapreso un bel percorso, organizzando iniziative con artisti internazionali. È un bene per questo nostro territorio. Esserci, insomma, mi rende orgoglioso».
Bob Money, il mondo sta tentando di “ripartire” dopo l’isolamento e l’emergenza Coronavirus. Come ha inciso e inciderà sull’arte, a suo parere?
«Credo che ci sarà una grossa scrematura. Oggi si pensa che l’arte sia un bel disegno, ma non è così. Essa è legata alla vita, al contesto dal quale “sgorga”. Un artista deve raccontare ciò che c’è qui e ora, ciò che succede. Non è questione di tecnica, né di bravura. Ma di sensazioni, di stimoli, di istinto. Il lockdown, personalmente, è stata fonte di enorme ispirazione, perché mi ha consentito di riflettere su me stesso e sugli altri da me. L’opera d’arte, insomma, non può essere disconnessa dal palco sul quale si trova a muoversi e a “urlare”».
Essere disconnessi, oggi, è anche abbastanza complicato…
«La tecnologia è ormai parte di noi. Non possiamo ignorarla. Se lo facciamo, siamo già indietro. Ma non possiamo delegarle il concetto stesso di arte, la sua ragione d’essere e di esistere. Ci sono macchine che riproducono sculture in marmo. E i disegni non si fanno più sui fogli ma al computer, in grado persino di delineare il tratto. Ecco, questa non è arte. Considero la creazione artistica un concetto, un’immagine, la traduzione in segno di uno stato d’animo, che dunque fa ragionare, fa disperare o arrabbiare, a sua volta influenzata dal luogo in cui prende forma e sostanza».
La street art è forse la “fotografia” più nitida di queste sue considerazioni…
«A me piace tantissimo. È un’arte popolare, che tutti possono vedere senza pagare il biglietto. Gli artisti più famosi sono sui muri delle città. Non è un caso che l’interessamento verso tale linguaggio, da parte degli art-runners, sia in crescita costante. Amo il suo essere contro, la presa di posizione che veicola, la denuncia sociale che imprime sul cemento, la sua natura randagia. Noi, qui nelle Marche, abbiamo la fortuna di avere Blu, uno dei più grandi al mondo».
Sta andando verso questa direzione, dunque, l’arte?
«Questo è un momento particolare. Da un po’ di tempo, per la verità. Siamo in pieno Neutro-Realismo. La realtà non ha più caratteristiche proprie, non ha odore né sensorialità. Vi è un distacco totale da quanto abbiamo intorno, ci muoviamo come macchine, come automi. Oggi i ragazzi nascono e crescono con il cellulare in mano, respirano plastica. Io, invece, sono cresciuto nei campi, sentivo la pioggia in arrivo e percepivo il sole che pian piano si faceva largo fra le nuvole. Questo, secondo me, si è perso. Ecco perché la mia arte è molto “fisica”. Cerco sempre un contatto comunicativo per l’uomo e sull’uomo, è un’esigenza artistica ed esistenziale. Come può non incidere, pertanto, ciò che stiamo vivendo, e a cui abbiamo rinunciato, con il Covid?».
Quali i suoi progetti?
«A breve realizzerò un catalogo generale delle mie opere con Gianluca Marziani, un’antologia vera e propria. Continuo a portare avanti le mie tre linee artistiche: la pop-art, la fusione di policarbonati e pigmenti metallici direttamente sulla tela e il bassorilievo».
E l’opera di cui va più orgoglioso?
«Ce ne sono diverse. Direi però il Quadro Inverso, scultura creata dalla famosa foto scattata a Pier Paolo Pasolini da Dino Pedriali con cui ho lavorato nel 2014 al progetto “Pasolini con Scratch”.».
Bob Money (Quattrini Roberto Stuttgart 1 aprile 1965) è uno scultore e pittore internazionale nato in una famiglia di immigrati italiani in Germania dove rimase per i primi anni della sua vita nella città di Stoccarda. Tornato in Italia, nel 1981 studia disegno e fusione in bronzo nella Scuola d’Arte Edgardo Mannucci di Ancona. Allo stesso tempo si dedica agli studi musicali e nel 1991 si diploma in pianoforte e corno francese presso il Conservatorio Gioacchino Rossini di Pesaro. Negli ultimi anni sperimenta diverse tecniche di pittura e scultura specializzandosi in bassorilievo su tela definito da Donald Anthony Preziosi scultura su tela. (Collezione “Cosmogonia”). Dal 2005 collabora con diversi artisti nazionali ed internazionali con particolare attenzione per le sculture in policarbonati e reti metalliche tra cui “The Aground Siren”, pubblicata nel libro “Mario Dondero” e “Quadro Inverso” scultura creata dalla famosa foto scattata a Pier Paolo Pasolini da Dino Pedriali con cui lavora nel 2014 al progetto “Pasolini con Scratch”. Collabora con diverse gallerie internazionali come artista indipendente ed è pubblicato nei piu importanti cataloghi di Arte “.Da anni sta lavorando su una formula ibrida tra pittura e scultura, sorta di atipico bassorilievo che ormai lo caratterizza e orienta. Agisce per cicli tematici, accomunati dal legame con specifiche personalità “nucleari”, ascrivibili tra gli archetipi del pensiero radicale: Pier Paolo Pasolini, Gino De Dominicis, Dino Pedriali, Mario Dondero, Letizia Battaglia…icone caldissime che l’artista studia e rielabora con approccio magmatico, tessendo solide trame semantiche attorno ai loro codici morali, simile ad un Vulcano che forgia icone, distilla inserti esoterici e false piste, costruendo nuove metafisiche attorno alla sua idea di ritratto. Il risultato è un organismo complesso che metabolizza indizi pop e derive kitsch, tensioni novecentiste e simbologie orientali. Le opere diventano layer di temi e stili, nuovi avatar anabolizzati che dilatano gli immaginari di riferimento. Diverse eppure complementari, le opere ragionano entro il canone occidentale della figura/icona, dove la materia ribolle e si trasforma ma il corpo mantiene il centro leonardesco della Storia.” Gianluca Marziani