JESI – Gratificazione per il risultato ottenuto, ma anche responsabilità per la grande fiducia accordata dai cittadini. Il vicesindaco Luca Butini è pronto a ripartire da dove ha terminato i suoi primi cinque anni di mandato. Il sindaco Massimo Bacci, confermandolo alla Cultura (comprensiva di eventi e manifestazioni, sistema museale e sistema bibliotecario), gli ha assegnato anche le deleghe a servizi demografici e cimiteriali, progetti europei, politiche per la pace e l’integrazione multietnica, comunicazione istituzionale e gemellaggi.
«Come si riparte per un secondo mandato? – si chiede Butini,
responsabile dell’Ambulatorio per le Malattie del Sistema Immunitario presso gli Ospedali Riuniti di Ancona nonché presidente di Anlaids Marche Onlus (Associazione Nazionale per la Lotta all’Aids) -. Beh, la “fatica” dell’ultimo periodo e della campagna elettorale svanisce, la dimensione del risultato ottenuto genera da un lato gratificazione, dall’altro responsabilità; il tutto sul terreno di una consapevolezza figlia di cinque anni trascorsi nel ruolo. Ho imparato che il “mestiere” di Assessore è quotidiano, è fatto di relazioni con interlocutori diversi i quali hanno esigenze e priorità diverse che vanno confrontate e per quanto possibile messe in fila ed armonizzate con quelle dell’istituzione che si rappresenta. È un mestiere fatto di ascolto, verso i cittadini ed i consiglieri che li rappresentano, ma non di promesse che non si possano mantenere, e si fonda sulla disponibilità verso i collaboratori dipendenti del Comune, perché loro restano quando tu te ne sei andato e mandano avanti il lavoro. L’assessorato richiede comportamenti che siano di esempio ma non scivolino nel protagonismo, è un mestiere spesso oscuro, di raccordo e di stimolo, di pazienza e di relazioni, soprattutto di impegno e di servizio, a beneficio dei cittadini ed a tutela dell’istituzione».
Quali le priorità? «Consolidare, ricostruire in alcuni casi, l’identità culturale di Jesi e del suo territorio, in continuità con quanto svolto nel quinquennio precedente – riferisce sempre Butini -. Perché l’identità culturale di una città, di una nazione, ma anche di una valle oppure di un quartiere, è la “malta” che tiene insieme quella comunità ed al tempo stesso è il biglietto da visita che quella comunità offre a chi desideri conoscerla. È l’insieme delle conoscenze, acquisite dall’antichità ad oggi, e del modo di vivere. Include abitudini e costumi, luoghi ed oggetti, espressioni artistiche e valori. Si compone di beni tangibili – resti archeologici, manufatti artistici, edifici, paesaggi – ed intangibili quali conoscenze, tradizioni, suoni, storie raccontate, abilità artigiane, pratiche rituali. Questa sarà la traiettoria che ispirerà i progetti, da disegnare e realizzare in collaborazione con chiunque la condivida».