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Campionesse: storie e prospettive del calcio femminile

Il libro, scritto a quattro mani dallo studioso e ricercatore sportivo marchigiano, Moris Gasparri e Michele Uva, vicepresidente della Uefa, è stato presentato a Roma alla presenza del neo-ct della Nazionale di calcio maschile, Roberto Mancini

Moris Gasparri in occasione della presentazione del libro a Roma, insieme a Giuseppe De Bellis direttore di Sky Sport e Michele Uva
Moris Gasparri in occasione della presentazione del libro a Roma, insieme a Giuseppe De Bellis direttore di Sky Sport e Michele Uva

SAN MARCELLO – Nelle librerie italiane approda “Campionesse. Storie vincenti del calcio femminile” (Giunti), scritto da Michele Uva, vicepresidente della Uefa e direttore generale della Figc, e da Moris Gasparri, studioso e ricercatore sportivo originario di San Marcello, in provincia di Ancona (nonché attuale presidente della locale squadra di calcio). Il libro, con prefazione firmata da Walter Veltroni, è stato presentato lo scorso martedì 22 maggio a Roma a Palazzo Fiano, alla presenza in platea di un altro marchigiano “doc”, lo jesino Roberto Mancini, neo-ct della Nazionale maschile.

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La copertina di “Camponesse. Storie vincenti del calcio femminile”

Da sempre appassionato a tutti gli sport, sia maschili che femminili, Moris Gasparri ci racconta come è nato questo libro e perché il calcio femminile, se gestito bene, diventerà una risorsa. «Il calcio femminile si sta rivelando un’opportunità di crescita sportiva in molti paesi del mondo: nel 2011 in Germania si sono disputati i Mondiali femminili, nei grandi stadi dove nel 2006 erano stati giocati quelli maschili, con un successo di pubblico straordinario, quasi 800 mila biglietti venduti. Proprio in quell’anno ho conosciuto Michele Uva, che ha sempre nutrito un grande interesse per questo settore e che era stato in Germania proprio ad osservare gli aspetti organizzativi di questo grande evento. Io invece avevo letto da poco un libro molto bello uscito negli Stati Uniti che parlava della grande crescita di questo fenomeno sportivo, e ci siamo trovati. Da lì sono iniziati i sei anni di studio e ricerche che hanno portato alla pubblicazione del libro».

Qual è la storia del calcio femminile?
«È una storia molto affascinante: in Europa il primo sviluppo avvenne in Inghilterra, durante la Prima Guerra Mondiale. Le donne chiamate a sostituire nelle fabbriche gli uomini impegnati al fronte emularono in alcuni casi anche il loro passatempo preferito, e cominciarono ad organizzare squadre e partite di calcio, che richiamarono da subito grande pubblico, con scopi di beneficenza. L’ostracismo culturale ha poi ucciso il calcio femminile nella culla: nel 1921 la federazione inglese vietò alle squadre maschili la concessione dei campi da gioco per partite tra squadre femminili, e dichiarò il calcio uno sport inadatto alle donne. Una decisione dagli effetti duraturi, basti pensare che la prima Coppa del Mondo maschile si disputò nel 1930, quella femminile solamente nel 1991, più di sessant’anni dopo. Non è un caso che il calcio femminile tra anni Settanta e primi Duemila si sia maggiormente sviluppato in paesi in cui la tradizione del calcio maschile non era così forte, e dove invece erano molto sentite le questioni legate alla parità di genere: Stati Uniti, Svezia, Norvegia, successivamente il Canada».

Parliamo di uno sport che nella nostra cultura è tuttavia considerato prettamente maschile.
«Lo sarà sempre meno. Stiamo andando verso la frontiera che nel libro definiamo del “calcio universale”. Sempre più club avranno una sezione maschile ed una femminile, sul modello della Juventus e della Fiorentina, anche a livello dilettantistico. I numeri stanno crescendo a ritmo vertiginoso. Ad inizio anni Ottanta c’erano 300 mila calciatrici tesserate in Europa, tra un decennio molto probabilmente supereremo quota 2 milioni. In Italia scontiamo ancora un ritardo organizzativo, colpa di scelte mancate. La grande riforma effettuata dalla Federcalcio nel 2015 è stata quella di obbligare le squadre di serie A, B e Lega Pro a creare un settore giovanile anche femminile, dando anche la possibilità ai club professionistici maschili di rilevare il titolo sportivo di società femminili già esistenti, per migliorarne gli standard organizzativi. Il calcio femminile è anche un grande tema sociale e culturale: tra i 14 ed i 25 anni le ragazze italiane hanno tassi di pratica sportiva inferiori anche di 20 punti percentuali rispetto ai maschi, un gap che ha effetti anche sulla formazione e sulle opportunità di crescita educativa».

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Moris Gasparri insieme all’amico Mirko Cellottini e Roberto Mancini

Nel libro oltre ad una parte storica, c’è il ritratto di dieci campionesse, e di un presidente. Chi sono?
«Abbiamo scelto delle icone di riferimento, che con i loro percorsi vincenti hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo planetario di questo sport, abbattendo pregiudizi e stereotipi. Ci sono tre calciatrici americane: Mia Hamm, la prima grande stella di questo sport, poi Carli Lloyd, autrice di una tripletta nell’ultima finale dei Mondiali, ed infine Alex Morgan, una delle atlete più popolari al mondo, in un mix di forza sportiva e marketing che ricorda per certi versi la figura di David Beckham. Poi l’italiana Carolina Morace, 500 gol in serie A e più di 100 con la maglia della nazionale, prima donna al mondo ad allenare una squadra professionistica maschile; la brasiliana Marta, funambola del dribbling; la nazionale giapponese che ha vinto i mondiali del 2011, con un’impresa straordinaria ed emozionante; Dzsenifer
Maroszan, capitano della Germania dal talento smisurato. E poi ancora la spagnola Veronica Boquete, l’inglese Kelly Smith, la canadese Christine Sinclair, ed infine un uomo, Jean-Michel Aulas, presidente dell’Olympique Lione, il club maschile che in questi anni più di tutti ha investito risorse e passione anche in quello femminile, ottenendo grandi risultati».

L’ultima parte del libro, più tecnica, riguarda il futuro di questo sport. Possiamo dire che il tabù sia caduto?
«Credo che i pregiudizi sulla pratica stiano cadendo ovunque, ma è necessario uno sviluppo manageriale serio per portare questo sport a svilupparsi anche in Italia, in tutti i territori e soprattutto al sud, ed è questo che affrontiamo nell’ultima parte del libro, sotto forma di 11 parole-chiave».

Tra le obiezioni c’è che il calcio femminile non sia bello da vedere come quello maschile, cosa ne pensa?
«Il calcio femminile è uno sport giovane, che solo da poco sta conoscendo una vera professionalizzazione. Questo sta portando ad un miglioramento degli standard tecnici ed atletici, e quindi dello spettacolo, sulla strada già percorsa decenni addietro del tennis e del volley. Sfido chiunque a non apprezzare il talento e la classe di calciatrici come Barbara Bonansea o Sara Gama, solo per fare degli esempi. Certo, la strada per migliorare è ancora molta. Non dobbiamo farne però solo una questione di estetica: nello sport contano la partecipazione emotiva, le storie, gli esempi. Da questo punto di vista il calcio femminile è un mondo bellissimo e ricco di sorprese».