Jesi-Fabriano

Castelplanio, svolta sulla morte di Maddalena Urbani: il pusher e l’amica accusati di omicidio

Il siriano che ha ceduto le sostanze a Maddalena e l'amica con cui ha raggiunto Roma, sono accusati di omicidio

La giovanissima Maddalena Urbani

JESI – Due indagati per l’omicidio di Maddalena Urbani, la figlia 20enne del medico eroe della Sars trovata senza vita il 27 marzo scorso in un appartamento di Roma a causa di un mix di droghe e psicofarmaci. Oggi è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del siriano Rajaz Abdulalil, 64 anni, che nell’appartamento dell’orrore in via Vibo Mariano, zona Tomba di Nerone, stava scontando i domiciliari per spaccio.

L’uomo si trova già in carcere, rinchiuso a Regina Coeli, da quel 27 marzo, per l’accusa di spaccio di stupefacenti poiché nella sua abitazione erano stati rinvenuti eroina, metadone e sostanze psicotrope. Oggi la Squadra mobile di Roma ha notificato in carcere il provvedimento emesso su richiesta del sostituto procuratore Pietro Pollidori e del procuratore aggiunto Nunzia D’Elia, firmato dal Gip. Anche all’amica (o presunta tale) – El Haouzi Kaoula, di 23 anni – che raggiunse Roma insieme a Maddalena, è stato contestato il reato di omicidio, ma non sono state emesse nei suoi confronti misure cautelari. Il suo ruolo, secondo la ricostruzione della Procura, è “passivo”: la mattina del 27 marzo era uscita presto per la spesa, al suo ritorno verso l’ora di pranzo, aveva trovato Maddalena agonizzante e avrebbe allertato i soccorsi ma era tardi.

Le indagini della Squadra mobile hanno ricostruito le ultime ore di vita della terzogenita del dottor Urbani, tracciando un itinerario a ostacoli oscuri che conducono sempre più la ragazza incontro alla morte. La notte antecedente la tragedia, sembra che si sia sentita male a causa del mix di alcol e droghe ingerito ma il siriano non ha chiamato i soccorsi tempestivamente, anzi ha allertato due conoscenti, persone non qualificate – un rumeno che le aveva praticato un massaggio cardiaco e un italiano con conoscenze di medicina e trascorsi di tossicodipendenza che le fece un’iniezione di “Naloxone” – che avevano cercato, senza alcun esito, di salvare Maddalena dal mix di droghe e psicofarmaci ingeriti. Nonostante la difesa del siriano sostenga la totale estraneità dell’uomo nella morte di Maddalena, le indagini hanno confermato che effettivamente i due avessero una conoscenza: lo si evince dalle chat estrapolate dal telefono di Maddalena e da un’agenda trovata dagli inquirenti a casa del siriano in cui era riportato il nome con l’indirizzo di Perugia di Maddy.