Jesi-Fabriano

Chiaravalle, vicenda chiostro/orto del prete: assolti la ex sindaca Montali e la sua giunta

Una bella vittoria per gli avvocati Magistrelli, Sartini e Stecconi che hanno dimostrato un antefatto storico capace di ribaltare la sentenza

L'abbazia di Santa Maria in Castagnola dove si sono svolti i funerali

CHIARAVALLE- Quella del chiostro dell’abbazia cistercense di Chiaravalle e dell’orto del prete è una vicenda che ha scosso profondamente gli animi e gli equilibri politici della città montessoriana. Una vicenda storico-politica-giudiziaria durata oltre sette anni che solo ieri ha finalmente fatto leggere ai cittadini l’epilogo. Ed è una felice chiusura per la ex sindaca Daniela Montali, per la sua assessora all’urbanistica Giulia Fanelli, per il responsabile dell’ufficio tecnico architetto Armando Natalini indagati – insieme a molti altri consiglieri comunali e al segretario comunale – per abuso d’ufficio e di aver cagionato un danno erariale al Comune di Chiaravalle di un milione di euro. Una vicenda complessa, che ha proceduto su due filoni d’indagine: da un lato, il processo al tribunale ordinario di Ancona e dall’altro, alla Corte dei Conti .

Le accuse, mosse da una denuncia presentata alla Guardia di Finanza da un esponente della minoranza e dal sindaco di Chiaravalle che successe alla Montali, Damiano Costantini, partivano dalla delibera del 30 luglio 2010 con cui il consiglio comunale approvò le 49 linee di indirizzo del nuovo Piano particolareggiato di recupero del centro storico con le quali, fra l’altro, si prevedeva che l’area ex-Cral (15.000 metri quadrati adiacente al chiostro dell’abbazia cistercense) detenuta dalla parrocchia di Santa Maria in Castagnola, comprendente anche un appezzamento di terreno adibito a verde attrezzato (“L’orto del prete”) fosse trasformato da “area per attività socio-culturali” ad “area edificabile commerciale-residenziale”. Ma in precedenza, il 21 maggio 2010, il consiglio comunale aveva autorizzato la stipula di una convenzione tra il Comune e la Parrocchia, trasformando una parte del Chiostro da patrimonio indisponibile a disponibile. Pertanto, quando la Società Servizi srl acquistò l’area ex-Cral nella redazione del piano di recupero del centro storico prevedeva la realizzazione di immobili a uso residenziale e di un supermercato nell’area ex-Cral, emerse che l’unico accesso era tuttavia precluso a causa delle prescrizioni del Piano del Centro storico alla viabilità ordinaria da viale della Vittoria lungo viale Montessori. Pertanto, l’unico accesso possibile era l’area verde denominata “Orto del prete”. Pertanto i funzionari tecnici, d’accordo con l’assessore e il sindaco avrebbero predisposto una convenzione – poi approvata in consiglio comunale – con la quale il Chiostro veniva trasferito dallo Stato al Comune di Chiaravalle, vincolandolo a una destinazione a uso pubblico e inserendolo tra i beni indisponibili.

Il Comune avrebbe compiuto così un atto di disposizione patrimoniale del bene, cedendo alla parrocchia di Santa Maria in Castagnola (a un privato) il diritto di superficie per 99 anni di una parte del Chiostro (sulla quale erano in parte intervenuti, a spese del Comune, lavori di ristrutturazione) in cambio della disponibilità a titolo di superficie dell’area detta “Orto del prete”, poi inserita nel Piano di recupero del Centro storico come via di accesso all’area ex-Cral, da trasformare in centro commerciale e residenziale.


Il procedimento al Tribunale penale è stato archiviato con un “non luogo a procedere” lo scorso 25 novembre per la prescrizione dei termini. Mentre la sentenza della Corte dei Conti è stata pronunciata ieri e ha decretato la piena assoluzione degli imputati, difesi dagli avvocati Marina Magistrelli, Sabrina Sartini, Edoardo Stecconi. Secondo l’accusa, il Comune non avrebbe potuto disporre della cessione alla parrocchia: il Comune nel novembre 2012 aveva acquisito la superficie dell’Orto del Prete (2.000 metri quadrati non edificabili e del valore di 91.000 euro circa) cedendo una parte del chiostro abbaziale (800 metri quadrati di chiostro millenario del valore di 884.000 euro). Uno scambio sproporzionato, per il quale la Corte dei Conti aveva ravvisato un danno erariale al Comune di un milione di euro, ma in aula gli avvocati hanno dimostrato – dopo una lunga e minuziosa ricerca storica andata a ritroso nel corso di molti anni – che l’operazione compiuta all’epoca era assolutamente legittima, come adempimento di un obbligo di legge.

L’impianto accusatorio insomma, sarebbe partito da una parziale ricostruzione storica, mentre la diatriba tra Comune (allora retto dal Pc) e i monaci cistercensi risale agli anni ’70. A rileggere quelle pagine, sembra di venire proiettati nel celebre romanzo di Guareschi e rivedere nei due contendenti le celebri “battaglie” di paese tra don Camillo e Peppone. Entrambe le parti volevano acquistare quell’area del Chiostro, pertanto avanzarono richiesta di acquisto al Parlamento. Alla fine venne approvata una legge che si fondava su un raggiunto accordo tra le parti: l’acquisto veniva fatto dal Comune che avrebbe ceduto 900 metri quadrati ristrutturati alla parrocchia. Pertanto il Comune di Chiaravalle acquistò il Chiostro a prezzo agevolato di 400 milioni. Pertanto la cessione che anni dopo fece la sindaca Montali non fu un’iniziativa in favore della parrocchia, ma un adempimento di legge. Pertanto, preso atto di questo antefatto storico, la Corte dei Conti ha archiviato il procedimento, ravvisando non solo la regolarità dell’operazione e la legittimità, ma anche il vantaggio che ne derivò per il Comune, visto che cedettero una parte molto inferiore di quella inizialmente stabilita alla parrocchia e oltretutto con l’obbligo per la parrocchia stessa della ristrutturazione; la parrocchia rinunciava alla sala più preziosa del chiostro, la “Sala dei conversi”.


Non è solo la sentenza di assoluzione a dover essere sottolineata, poiché ristabilisce la verità su una vicenda che aveva fatto sollevare molte polemiche a Chiaravalle; ma ciò che va doverosamente evidenziato è anche l’aspetto umano e politico che corre parallelo alla vicenda. In questi sette anni i protagonisti di questa inchiesta hanno perso serenità, sono stati oggetto di ostracismo politico, additati e squalificati da ogni azione o ambiente politico per quell’ombra di sospetto infamante che li accompagnava. Vite scombinate, carriere politiche stoppate, aspetti professionali sospesi. Oggi a queste persone vengono restituite la vita, la dignità e il sorriso.